Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  febbraio 26 Venerdì calendario

Il primo Michael Jackson raccontato da Spike Lee

Dall’enfant prodige dei Jackson 5 alla superstar: così Spike Lee descrive Michael Jackson nel suo documentario Michael Jackson’s Journey from Motown to Off the wall, dvd contenuto nella nuova ristampa di Off the wall del 1979, uscita oggi. La trasformazione da bambino e leader della band di famiglia, guidata con pugno di ferro dal padre-padrone Joe, al trionfo solitario, più che da solista, come King of Pop.
Spike Lee aveva già realizzato un documentario su Jackson nel 2012, Bad 25, e lo aveva diretto per il video They don’t care about us del 1996. Ma in questo lavoro il regista compie l’impossibile: far dimenticare al pubblico, per un’ora e mezzo, tre decenni di stranezze e scandali di Jackson, morto a 50 anni per overdose accidentale di anestetici il 25 giugno del 2009, mettendo in primo piano solo l’artista, attraverso interviste con dozzine di celebrità dello spettacolo e non (da Kobe Bryant, che confessa di aver imparato alcuni movimenti del basket guardando Jackson ballare, a David Byrne). «Ognuno ha la sua opinione su Michael Jackson, ognuno ha la sua idea di cosa fosse e di come interpretare le sue canzoni», dice Spike Lee. «Ancora si discute ad esempio sul significato delle parole della hit Don’t stop ‘ til you get enough. C’è chi dice sia un riferimento sessuale, e chi dice che si riferisca alla “Forza” di Guerre Stellari, di cui Michael era un fanatico appassionato. Michael adorava quella saga, e anche E. T. Ha persino realizzato un album e audiolibro con Quincy Jones ispirato al film di Spielberg. Michael era il primo consumatore di cultura popolare. Dicevano che fosse come Peter Pan: per me è stato il Peter Pan nero, punto e basta».
Nel documentario scopriamo che la famosa canzone I can’t help it, scritta da Stevie Wonder e Susaye Greene, non avrebbe dovuto essere per Off the wall, ma, come dice lo stesso Wonder a Spike Lee, «era stata scritta per essere inclusa nel mio album Songs in the key of life». Ma fu Quincy Jones a riuscire a convincere Wonder a cederla a Jackson.
A sorpresa, Off the wall vinse un solo premio Grammy, per Miglior perfomance maschile di R&B per la canzone Don’t stop ’ til you get enough, premio neanche mostrato durante la trasmissione della premiazione. «Michael ci rimase malissimo», ricorda Spike Lee, «e giurò che con l’album successivo avrebbe stracciato tutti». Sapeva quel che diceva: Thriller avrebbe vinto otto Grammy. «Michael sembrava uno con la testa tra le nuvole», dice Lee, «invece era molto grintoso, determinato e ambizioso. Ci teneva moltissimo ai premi e alle vendite. Voleva l’amore del pubblico e l’ammirazione, certo, ma anche e forse soprattutto il successo e i riconoscimenti. Sapeva qual era il suo posto nella storia della musica. I suoi primi 25 anni ci mostrano chiaramente l’artista e il suo genio molto più dei seguenti 25».