Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  febbraio 26 Venerdì calendario

Cirinnà, la nuova Porta Pia che svaticanizza l’Italia

Nella lunga e tortuosa storia della liberazione sessuale dell’Italia, ha lo stesso valore epocale della legge sul divorzio e di quella che regola l’aborto, questa legge che, approvata dal Senato ( presto lo sarà dalla Camera), porta il nome di una tormentata e dolce signora, Monica Cirinnà, che ieri in Senato sembrava l’indomabile donna riccia di Modugno. La Cirinnà è stata assediata e insultata ma, piangendo e indietreggiando, resistendo e rilanciando, è alla fine entrata nel tempio delle grandi della sinistra: Lina Merlin, Tina Anselmi, Nilde Jotti, Emma Bonino…, le signore dell’inaudito italiano.
Eppure, oggi quest’altro inaudito si avvera senza consapevole drammaticità. C’è solo il frastuono della battaglia politica pro o contro Renzi, il rumore dell’abbasso e dell’evviva al governo, la solita spaccatura guelfi-ghibellini di un Parlamento post-ideologico che ha smarrito le ragioni fondanti della legge: l’uguaglianza, la civiltà dei diritti, l’amore, la famiglia, la sofferenza di tante persone che si amano e magari credono pure in Dio e nei sacramenti e però sino a ieri dovevano nascondersi perché il loro amore, la loro convivenza e la loro stessa fede non erano riconosciute dai lanzichenecchi teocon e teodem.
Comunque la si guardi, questa legge è dunque una nuova Porta Pia, svaticanizza l’Italia, rende più vera la vecchia frase di Spadolini: «Il Tevere è più largo». Nonostante il lessico povero ed estremista – «legge porcata», «unioni incivili» – che misura la febbre del Belpaese malato di isteria, la verità nuda è che finalmente escono dall’inferno della clandestinità ed entrano nella legalità e nella normalità le coppie omosessuali italiane. Le loro unioni d’amore saranno infatti sancite dallo stesso sindaco che ha sposato me e mia moglie.
E i loro diritti sociali, dall’assistenza sanitaria alla reversibilità della pensione, dalla legittima eredità del patrimonio al part-time, dall’assistenza penitenziaria ai mutui e agli “sconti famiglia”, saranno tutti riconosciuti e tutelati dalla legge. Da oggi infatti questi diritti di minoranza sono valori di maggioranza. Dunque finiscono per sempre la diversità e la dissonanza coltivate come vizio nascosto. Finisce persino, con un altro italianissimo compromesso storico tra il rispetto della Chiesa e i bisogni di libertà, l’idea barbara e blasfema che Dio sia maschio e che il diavolo sia invece pederasta.
Certo, la cattolicissima Irlanda e persino il Portogallo hanno già approvato il matrimonio tra gay, con l’idea, secondo noi giusta, che paternità e maternità sono fatte di esperienze e non di seme, e che Freud sarebbe stato contento di riscrivere tutta la psicanalisi. E persino la History, quando le mamme sono due, può diventare
Her- story, con Edipo che uccide la madre, Elettra la adora e Gesù sulla croce la rimprovera: «Madre, perché mi hai abbandonato?».
In Italia invece è la parola matrimonio che è stata surrogata con perifrasi fritte come “unioni di diritto pubblico” e “formazioni sociali”. E l’adozione del figlio naturale del partner è stata stralciata perché, come diceva Martinazzoli, «in questo Paese le leggi si riesce a farle solo con la regola della quadratura del cerchio». E voleva dire del compromesso spinto sino al paradosso di far convergere le parallele, di maritare il diavolo e l’acqua santa, e nel nostro caso di far combaciare come asole e bottoni gli atei del Pd e i bigotti di Ncd di Alfano, i cattolici democratici e i mercenari di Verdini, illuminati dall’illuminismo non per militia Christi ma per militia sellulae, per attaccamento alla poltrona, anche se non più occupata con lombi completamente papalini.
Dobbiamo all’arte democristiana della mediazione pasticci di ogni genere. In fondo, questa legge sulle unioni civili, proprio perché riforma radicalmente il diritto di famiglia, ha reso una pesante necessità morale l’accordo con chiunque ci stava. È vero: poteva essere la legge di tutti senza glosse, emendamenti, canguri, stralci, talk show e like nei social. Ma con Grillo non è stato possibile perché i sondaggi gli hanno suggerito che non gli conveniva: l’utile elettorale non coincide mai con le battaglie di civiltà.
Stralciata e rinviata chissà a quando, l’adozione del figlio naturale del partner continuerà dunque ad essere affidata alla magistratura che grazie al famoso articolo 44 della legge sulle adozioni già l’ha concessa anche a qualche compagno/a gay perché non c’è legge che non sia interpretabile secondo il dettato della pubblica coscienza, e sempre le leggi cercano, fosse pure attraverso le sottigliezze e i cavilli, di captare il mondo, di adeguarsi al passo e al fiato della società.
Non bisogna ovviamente farsi illusioni, ci saranno altri family day e altri raduni arcobaleno. Alfano già dice di avere impedito «una rivoluzione contro natura» con uno zelo losco e scivoloso che non convince né i compagni di strada laici né gli ultrà cattolici di Ruini e Bagnasco, i neointegralisti che pensano alla sessualità come a una branca della teologia. Dunque la battaglia attorno alle adozioni continuerà. In Italia infatti c’è un abuso delle manifestazioni di piazza che, prima di essere sediziose o minacciose, sono prive di pensiero. La piazza, che oggi prende anche le forme di Twitter, di Facebook e della Rete, è un tribunale cieco, l’organizzazione della demagogia, è il plotone.
La legge Cirinnà, per contagio, è persino destinata a liberare dalla fedeltà come obbligo di legge dello Stato, tutte le coppie italiane, pure gli sposi. Sarà in questo senso un “tana libera tutti”. Ed è giusto ricordare che l’idea originaria della fedeltà, che non è l’antitesi delle corna, era un progetto di vita, il fondamento tradizionale su cui costruire la domus, la base della civiltà occidentale: l’odissea dei sensi, vissuta da Penelope contro ogni tentazione di infedeltà tramata dai Proci. Poi ovviamente la fedeltà ha incontrato la storia. È diventata infatti la coercizione contro l’adulterio, il dominio sulla carne, la disputa maschile sul corpo della donna. E ci sono posti nel mondo dove si spara e si ammazza per la fedeltà. Altri dove si lapidano le peccatrici. Altri ancora dove si puniscono pesantemente tutti i peccatori, di ogni sesso. La fedeltà è un vortice di fantasie sessuofobiche, un caleidoscopio di moralismo, illicitus coitus cum uxore vel marito alterius, persino espediente retorico per giustificare i crimini, e basta leggere Simenon o gettare un’occhiata all’universo della mafia siciliana, dove per fare adulterio con una bella ragazza, Luciano Liggio le ammazzò – in nome dell’antisocialismo – il fidanzato sindacalista, il famoso Placido Rizzotto. Oggi poi la linea discriminante dello scontro di civiltà è la fedeltà, la sanzione sociale e la lapidazione come risarcimento.
Dunque ora che il desiderio è diventato diritto, la legge Cirinnà ci libererà definitivamente anche dalla fedeltà. E diciamo la verità: oggi c’è più amore nei matrimoni di quanto ce n’era nel passato, e proprio perché non hanno più un vincolo totalitario, né sacro né di genere. «Ti sono fedele a modo mio» si scrivevano Sartre e Simone de Beauvoir mentre amoreggiavano, lei con i Mandarini, e lui con le ragazze di Saint-Germain- des-Prés.
Infine questa legge restituisce la religione italiana alle sue belle radici non teurgiche, ai semplici, ai parroci buoni che tanto somigliano a Papa Francesco, quelli che benedivano la Lollobrigida, la scostumata di “Pane, Amore e fantasia”, perché mai cercavano il peccato, ma sempre offrivano la comprensione.