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 2016  febbraio 26 Venerdì calendario

I giudici antimafia possono accedere ai server di Facebook per incastrare i latitanti (anche Matteo Messina Denaro)

Ci sono voluti mesi, una rogatoria con il tribunale della California e una montagna di documenti tradotti in inglese. Ma, alla fine, un ordine di perquisizione di un giudice americano ha aperto una piccola porta nel server di Facebook. Piccola, ma importante. È lì che i magistrati di Palermo e gli investigatori della Dia sono entrati, per provare a cercare gli ultimi segreti del superlatitante Matteo Messina Denaro, che sembra diventato imprendibile dal 1993. Da quella porta si entra nell’account della sorella del padrino di Castelvetrano, prima di finire in carcere era lo snodo delle comunicazioni della nuova Cosa nostra.
Anna Patrizia Messina Denaro apriva un profilo Facebook dietro l’altro, con foto e nomi falsi. Si sentiva sicura dentro un gioco di scatole cinesi virtuali. All’improvviso, nel dicembre 2013 cancella tutte le sue tracce sul web. Soprattutto i messaggi della posta privata di un account in particolare. Un presentimento? Una soffiata? Qualche ora dopo, viene arrestata con l’accusa di aver gestito una rete di pizzini, attraverso alcuni insospettabili messaggeri. Ma aveva anche un altro sistema di comunicazione. Misterioso, velocissimo. Questo emergeva dalle intercettazioni. Un giorno, il marito in carcere le chiede come deve comportarsi con un imprenditore fidato del clan che in cella mostra segni di cedimento, forse sta per pentirsi. Vincenzo Panicola fa capire ad Anna Patrizia che attende indicazioni sul da farsi. Indicazioni autorevoli. Ovvero, una parola di Matteo. E pochi giorni dopo, la donna torna in carcere con la risposta. «Non toccatelo, perché se parla può fare danno».
Come era arrivata quella risposta? Gli investigatori non avevano notato alcuno scambio di pizzini, i soliti fidati messaggeri non si erano neanche avvicinati ad Anna Patrizia. E allora nasce il sospetto che la donna utilizzi il computer per comunicare col fratello. Partono altre intercettazioni. Si scopre l’ultimo account Facebook, Anna Patrizia aveva scelto il nome di un’imperatrice romana, Lucilla.
Adesso, il social network ha fornito una lunga lista di messaggi privati della Messina Denaro, non tutto era stato cancellato. E sono stati indicati pure alcuni indirizzi Ip dei suoi corrispondenti. Chissà se dietro un altro misterioso account si è nascosto Matteo, o qualcuno a lui molto vicino. Di sicuro, è stata una collaborazione importante quella di Facebook. Anche se è stata necessaria una rogatoria e tanta documentazione per ottenere comunque un decreto di perquisizione dell’autorità giudiziaria americana. Intanto, per attestare che il signor Messina Denaro Matteo nato a Castelvetrano – Trapani, Italia – il 26 aprile 1962 è il latitante mafioso più pericoloso in circolazione, condannato all’ergastolo per le stragi di Roma, Milano e Firenze. Poi, per spiegare che la sorella è stata sua fedele ambasciatrice, e per questa ragione è stata condannata da un tribunale della repubblica italiana a 13 anni per associazione mafiosa.
Montagna di documenti a parte, la procura diretta da Francesco Lo Voi ha potuto contare su un’importante collaborazione internazionale. Anche grazie al sostegno della direzione nazionale antimafia e dell’Fbi. Dopo il via libera di Facebook, l’ambasciata americana a Roma ha messo a disposizione degli investigatori della Dia diretta dal generale Nunzio Ferla un server dedicato per scaricare i file. La porta che sembrava impossibile da attraversare. E la caccia a Matteo Messina Denaro riprende su un terreno inedito. A coordinarla sono il procuratore aggiunto di Palermo Teresa Principato e i sostituti Paolo Guido e Carlo Marzella. Una caccia che fino a qualche mese fa correva fra le masserie delle campagne di Trapani, dove si davano appuntamento i pastori messaggeri. Oggi, è una caccia fra gli indirizzi Ip dei misteriosi interlocutori con cui Anna Patrizia si scambiava affettuosità e indicazioni apparentemente innocue. Chissà se la strada della campagna e la strada di Facebook si incontravano. Di sicuro, non si è mai scoperto come arrivavano i pizzini nelle masserie. «Con la carrozza», dicevano i boss. «Stanotte è arrivato con la carrozza». Il pizzino di carta e scotch. Di poche righe, come fosse un messaggio Facebook.