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 2016  febbraio 26 Venerdì calendario

«L’Fbi ci chiede di fabbricare un software che è l’equivalente di un cancro». Tim Cook spiega perché non vuole aiutare l’amministrazione Obama

«L’Fbi ci chiede di fabbricare un software che è l’equivalente di un cancro». Il
chief executive di Apple alza i toni in un crescendo di ostilità contro le richieste dell’Amministrazione Obama. Lungi dal collaborare nell’indagine sull’iPhone dei terroristi di San Bernardino, Tim Cook si presenta come il paladino delle libertà personali e dei diritti costituzionali. I toni più duri li sfodera parlando alla tv
Abc, in un’intervista sul codice criptato che protegge gli iPhone, compreso quello dei due autori della strage in California. «L’unico modo – dice Cook – per estrarre l’informazione che ci viene richiesta, è comporre un nuovo software che noi consideriamo l’equivalente di un cancro. Se dipende da noi, non lo faremo mai. Non lo abbiamo mai fatto. Sarebbe un sistema pericoloso».
La richiesta dell’Fbi è arrivata al quartier generale di Cupertino, con l’autorizzazione di un giudice federale, dopo che gli inquirenti non erano riusciti a leggere i contenuti dell’iPhone usato da Syed Farook, uno dei due terroristi che uccisero 14 persone e ne ferirono 22 il dicembre scorso a San Bernardino. Gli iPhone sono dotati di un sistema operativo che rende l’apparecchio inaccessibile in modo permanente, dopo 10 tentativi falliti d’inserimento del codice pin. Apple ha sostenuto che i suoi stessi ingegneri non sono in grado di oltrepassare questa barriera; affermazione contraddetta dal fondatore di Microsoft Bill Gates, secondo cui la tecnologia esiste, anche se Apple a suo avviso ha ragione a fare ricorso affinché la vicenda arrivi fino alla Corte suprema.
Cook invece mantiene la sua versione: per penetrare oltre la barriera del codice bisogna scrivere un nuovo codice software, che attualmente non esiste. «Se un tribunale ci obbliga a farlo – aggiunge Cook nell’intervista al network Abc – immaginatevi quali altri tipi di software potrebbero chiederci: sistemi di sorveglianza, di spionaggio, per cui le polizie potrebbero decidere se e quando accendere la videocamera e riprendervi. Non so dove andremmo a finire di questo passo. So che non è quello che dovrebbe accadere nel mio paese». Cook con l’escalation polemica non si presenta più solo come difensore delle libertà individuali, ma sposta l’accento sulla sicurezza: secondo lui cedere alle richieste dell’Fbi e della giustizia significherebbe renderci tutti più indifesi. «La questione – conclude nell’intervista – non riguarda un singolo iPhone, ma il nostro futuro. Non vogliamo esporre centinaia di milioni di clienti. Il nostro compito è proteggerli».
Nel frattempo secondo il New York Times Apple starebbe per lanciare una nuova generazione di software che va nella direzione contraria alle richieste dell’Fbi: renderebbe ancora più difficile per magistratura e forze dell’ordine sbloccare un iPhone e leggerne i contenuti. Viceversa, l’Fbi è pronta – se i vari gradi della giustizia americana le daranno ragione – ad allungare la lista delle inchieste (terrorismo, criminalità) per le quali chiedere l’accesso ad apparecchi prodotti da Apple. La contesa si avvita in una spirale di distorsioni. Apple ammanta di grandi valori quella che è in buona parte operazione di marketing. L’Fbi insegue scorciatoie tecnologiche che in passato non hanno mai impedito sconfitte nella prevenzione del terrorismo. Gli osservatori che non hanno interessi in gioco indicano da tempo la soluzione ideale: il Congresso deve scrivere nuove leggi, adeguate a quest’epoca. Le normative su cui si stanno scontrando Fbi e Apple risalgono a un’èra anteriore al terrorismo, a Internet, e agli smartphone.
Scelte così delicate non possono essere lasciate al governo, né a un’azienda privata.