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 2016  febbraio 26 Venerdì calendario

Siria, un cessate il fuoco per far arrivare un po’ di aiuti

Si può anche non credere a un vero cessate il fuoco.
Quello annunciato da russi e americani, nella Siria arrivata al quinto anno di guerra, non è infatti troppo credibile.
Si tratta di una tregua parziale, che non riguarda tutti i belligeranti e che appare ambigua oltre che incerta. Ma il solo fatto che venga evocata come una possibilità o addirittura annunciata per domani, sabato, 27 febbraio, a mezzanotte, apre un insperato spiraglio.
Dopo tante tragiche notizie è un filo di luce che lo scetticismo di rigore ci fa appena intravedere. Eppure qualcosa di insolito sta accadendo. Ci si uccide ancora nella periferia di Aleppo e nei centri vicini con la rabbia delle ultime ore, quando si cerca di occupare qualche chilometro o metro di terreno in più.
In particolare si infittiscono gli scontri in prossimità del confine turco dove il controllo delle vie di comunicazione può essere vitale. E intanto aerei battenti decine di bandiere diverse scaricano bombe sulla valle del Tigri e dell’Eufrate. Ma simultaneamente, invocati convogli portano viveri e medicine in alcune località isolate, nell’attesa che il cessate il fuoco venga accettato (entro le 16 di oggi) da tutti i gruppi ribelli raccolti nell’Alto comitato dei negoziati in queste ore a Riad. I centri controllati dal regime di Damasco sono i più accessibili. In quelli in mano ai ribelli domina ancora una comprensibile diffidenza. Non avremo forse un vero cessate il fuoco ma un po’ di aiuti umanitari irrigano infine la Siria.
L’inviato dell’Onu, l’italo-svedese Staffan de Mistura, con uno slancio ottimista ha fretta, se la tregua lo consentirà, di riaprire a Ginevra i negoziati mai cominciati di fine gennaio. Nessuno si aspetta un silenzio miracoloso, allo scoccare della mezzanotte, dopo un massacro che dura da un lustro, dal 2011, ma qualche timido segno di tregua può accendere un dialogo. Bisogna pur cominciare con un balbettio o una rissa orale. Per un cessate il fuoco completo ci vorrà del tempo. Non è neppure previsto.
Infatti la pausa non riguarda tutti i gruppi armati sul campo, i quali sono decine. Quelli designati come terroristi sono esclusi: anzitutto Daesh (il Califfato o Stato Islamico) e Al Nusra (edizione siriana di Al Qaeda).
Ma sia Daesh sia Al Nusra hanno alleati minori. Non sarà facile distinguere sempre con chi applicare il cessate il fuoco e con chi continuare invece le ostilità. Inoltre in Siria non operano truppe disciplinate, ma gruppi di guerriglieri che cambiano campo e schieramento, si affrontano tra loro, si scambiano uomini, pur avendo quale comune nemico il regime di Bashar al Assad. Il raìs di Damasco.
Il cessate il fuoco, non ancora applicato, soltanto annunciato, forse irrealizzabile, ha già assunto valori politici non insignificanti. Anzitutto può essere letto come un implicito e fastidioso riconoscimento di Assad come presidente della Repubblica siriana. La sua posizione migliorava. Era sempre meno ripudiato da una larga parte della società internazionale. La convinzione che una soluzione politica sia la sola su cui puntare, lo ha rivalutato. Di fronte ai terroristi tagliagole meglio il rais che bombarda e tortura la sua gente. La figura del raìs continua a suscitare perplessità, ma la sua utilità è presa in considerazione. Più di quanto non accadesse qualche settimana fa. Quando era giudicato, a Washington come a Parigi e a Londra, un personaggio infrequentabile.
Adesso Assad si sente tanto sicuro dall’annunciare elezioni legislative per il prossimo 13 aprile. Pensa di poter governare l’intero paese in mano a decine di gruppi ribelli, tra i quali spiccano i fanatici di Daesh. La maggioranza sunnita, anche quella incruenta, non è il suo elettorato. Il padre Hafez e poi lui, Bashar, l’hanno spesso repressa. Non sarà certo in grado di convocare i siriani alle urne tra poco più di un mese, ma la sua cacciata dal potere non è più all’ordine del giorno. Un tempo era posta da molti come una condizione per trattare. Oggi si pone il problema della transizione. La sua sorte è ancora in discussione, ma è passata in secondo piano. Adesso Assad figura nel trio vincente: Mosca, Teheran e Damasco. Alleato per ora irrinunciabile dei russi e degli iraniani, ha recuperato terreno. L’hanno rinvigorito i cinquanta aerei e i 4mila uomini mandatigli da Putin, le migliaia di pasdaran arrivati da Teheran, gli hezbollah libanesi e le milizie sciite irachene (i kataib hezbollah). Ma egli è anzitutto il protetto di Vladimir Putin.
A sua volta Putin, come nella crisi ucraina, ha recuperato il ruolo di interlocutore diretto del presidente americano. E il raìs siriano è nell’ombra dello zar russo. Putin non ha riconquistato il rango di supergrande, ma nella crisi siriana può averne avuto l’illusione. Si è parlato di “nuova guerra fredda”, mentre in realtà il russo Lavrov e l’americano Kerry hanno manovrato insieme.
Non c’è stato un vero confronto tra i due responsabili degli Esteri. Né tra Washington e Mosca. Non volendosi inoltrare nella rissa mediorientale, Barack Obama ha lasciato a Putin il compito di condurre il gioco. Non è stata l’arrendevolezza di chi sta per concludere il secondo e ultimo mandato alla Casa Bianca e non vuole gettarsi in un’avventura militare. Obama ha dato piuttosto l’impressione di voler aprire a Putin qualcosa che assomiglia a una trappola. Il gioco siriano è infatti troppo costoso per il capo del Cremlino. All’euforia seguirà il conto, politico ed economico.
Il pensiero strategico della superpotenza è rivolto all’Estremo Oriente. È come se ci fosse stato uno scambio. Putin vede svanire il sogno euroasiatico, su cui puntava per ridare alla Russia il potere perduto, e si è gettato sul Medio Oriente. Mentre gli Stati Uniti sanno che il futuro è in Estremo Oriente, dove si forma l’altra grande super potenza. I Balcani mediorientali perdono valore ai loro occhi. L’applicazione del cessate il fuoco in Siria chiederà tempo: e sarà occasione di innumerevoli inganni. Già in queste ore si intensificano gli scontri, i cui esiti saranno gettati sul tavolo dei negoziati per far valere le proprie ragioni.
Non a caso nell’assedio di Aleppo, in corso da cinque anni, e dal quale dipende in larga parte il conflitto, sono stati coinvolti migliaia di miliziani sciiti iracheni. I quali cercano di indebolire i ribelli che circondano il cuore della superba città tenuto dalle truppe governative, e che hanno occupato i centri sulle strade che portano in Turchia. Dove i curdi sono alleati (e fanteria) degli americani e al tempo stesso avversari dei turchi pure loro alleati (capricciosi) degli americani.
Obama resta in Medio Oriente, la super potenza non abbandona un angolo chiave del mondo, ma lascia spazio alle ambizioni di Putin. E non è un regalo.
Si infittiscono gli scontri vicino al confine turco dove il controllo delle comunicazioni è vitale L’America non abbandona il Medio Oriente ma lascia spazio alle ambizioni di Mosca.