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 2016  febbraio 26 Venerdì calendario

Fifa, Al Khalifa è il grande favorito ma così si rischia di cambiare tutto senza cambiare nulla

«Se non altro ci siamo svegliati senza gendarmi in albergo...». Il cioccolato non è mai stato così amaro. Il ricordo del blitz all’Hotel Baur Au Lac a 48 ore dalla quinta rielezione di Sepp Blatter che il 27 maggio 2015 portò in prigione sette funzionari Fifa condisce, con l’olivetta, il cocktail dei 207 delegati (Kuwait e Indonesia sospese dal voto per motivi disciplinari) riuniti in riva al lago per rottamare quel che resta di una Federcalcio mondiale terremotata dagli eventi. Il passato, Blatter, è rintanato nel quartiere borghese di Zollikon; il futuro, Platini l’erede mai nato, chiede venia al Tas, ma che il francese si ritiri anche dall’Uefa (che presiede nonostante la squalifica di 6 anni) per evitare un Europeo decapitato, è uno scenario che si fa strada tra la neve di questa città muta e impersonale, perfetta per certe operazioni spregiudicate che animano la notte prima degli esami. 
C’è un’aria tagliente, a Zurigo. Soffia, più che un vento di riforma, l’impressione che i vecchi sistemi di accentramento dei voti siano – dietro le quinte degli alberghi delle sei Confederazioni – simili ai vecchi. Il grande favorito, lo sceicco del Bahrein Al Khalifa, è accompagnato nell’urna (non trasparente: la richiesta del Principe Ali bin Al Hussein è stata bocciata) dal gran lavoro di diplomazia di un vicino di casa, Ahmad Al Sabah, deus ex machina dello sport del Kuwait, a testimonianza della strada che hanno preso interessi e equilibri del calcio mondiale: Golfo Persico, direzione Qatar 2022. E il grande sfidante, l’avvocato italo-svizzero Gianni Infantino, segretario dell’Uefa ed ex delfino di Platini, affronta il Congresso come un cristiano i leoni al Circo Massimo. Vivere o morire. Se rimarrà incollato allo sceicco (per eleggere il nuovo presidente non basteranno i due terzi della prima votazione, che però sarà decisiva per indirizzare l’esito), Infantino acquisirà il peso politico per ambire al ruolo di segretario generale della Fifa (il ticket è stato escluso a gran voce, ma è un’opzione) o, addirittura, alla poltrona della ricchissima Uefa, arrivata a sfondare il muro dei 2 miliardi di euro annuali. 
Se è certo che i voti del principe di Giordania Ali bin Al Hussein, di Sexwale e Champagne, mano a mano, confluiranno sul più forte, molto alla vigilia restava da decidere. Europa uterina (53 voti), tutt’altro che compatta su Infantino (tradito nottetempo anche dalla Conmebol), e Africa tentacolare (54 voti), non unanime per lo sceicco (che ha l’Asia, 46 voti, dalla sua), le tonnare dove calare la rete per una pesca miracolosa (più Concacaf: 35 voti), promettendo prebende (il tenero Gianni offre 5 milioni di dollari a ciascun membro Fifa; «così ci porta in bancarotta» è il grido di Al Khalifa). Il copione già scritto, insomma, uno sceicco d’espressione Blatteriana capace di battere un rottamatore a rischio d’implosione per cambiare tutto senza cambiare nulla, è l’ideale prosecuzione dell’era del dittatore Havelange e del colonnello Sepp: la vecchia Fifa (8 presidenti in 112 anni) si dà una mano di fard però le rughe d’espressione non si cancellano. La Procura di Berna appena ha inviato all’Fbi il rapporto Garcia, mai reso pubblico per intero, che proverebbe la corruzione nella doppia assegnazione dei Mondiali 2018 e 2022 (150 conti correnti sotto osservazione). La regia degli Usa nella favola nera dello Sceicco.