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 2016  febbraio 26 Venerdì calendario

Colonne smaltate e specchi giganti. Come cambierebbe la Casa Bianca con Trump presidente?

Saluti dal South Florida, dove da trent’anni Donald Trump fa prove tecniche di Casa Bianca. La sua residenza invernale è a Palm Beach, dove arrivò comprando la magione di una grande famiglia, sconvolgendo l’establishment soprattutto repubblicano (casa Kennedy esclusa), ridecorando, diventando un boss locale. A raccontarla ora, una metafora.
Il villone, Mar-a-Lago, in stile moresco-disneyano-eccetera, è circondato da alte mura ma —Trump vuole sempre guadagnare qualche dollaro – è in parte club privato, campo da golf, resort e sala banchetti; se non si è membri o invitati si viene cortesemente cacciati da giovanotti in bermuda e casco coloniale. E viene da pensare «chissà se vestirebbe così una sua milizia personale a Washington». E viene da pensare che ben altre milizie, quelle suprematiste bianche, in Nevada hanno votato per lui.
Mar-a-Lago si può ammirare dall’alto e da casa propria, digitando «1100 South Ocean Avenue, Palm Beach» su Google Maps. Online si trovano foto della villa, dei suoi alberghi e dei suoi palazzi; e ci si può fare un’idea, oltre che dell’etica, dell’estetica trumpiana. Per spiegarle, per collegarle, un po’ anche per dargli del fascista, più di uno studioso è partito da Walter Benjamin. Dalle sue idee sull’«estetizzazione della politica», che il grande intellettuale ebreo berlinese aveva maturato durante l’ascesa di Hitler.
Così, si cita la silhouette dorata (nei palazzi trumpiani, che tendono allo stile staliniano virato sul cinque stelle lusso, prevale l’oro) del Trump Hotel di Las Vegas che Trump aveva messo come sfondo Twitter durante la campagna in Nevada. O il dispiegamento familiare arian-slavo (tutte le signore Trump sono slave, tranne la seconda) sui palchi elettorali, tutti belli, tutti biondi, tutti ferocemente diversi dal pubblico, bianco ma troppo poco abbiente per permettersi quelle mises. O il muro che Trump vuole costruire lungo tutto il confine col Messico e definisce «grande e bello», e vengono in mente opere teutoniche, diciamo.
«Grande e bella» in stile trumpiano diventerebbe – nello scenario distopico che si inizia a prendere seriamente – anche la residenza del presidente degli Stati Uniti. Più che Casa Bianca, sarebbe una Casa Dorata, Trump farebbe smaltare colonne e timpano con «top quality materials», come diceva sempre quando faceva il megapalazzinaro; e aggiungerebbe specchi giganti, come nel suo attico su Central Park. Sicuramente vorrebbe ribattezzarla Trump White House, nonostante gli sforzi dei costituzionalisti.
Nella West Wing arriverebbe la diletta figlia Ivanka, la più trumpiana della numerosa prole, come prima capo di gabinetto miliardario-dominatrice. La moglie slovena Melania verrebbe relegata da Ivanka nell’East Wing a prendere lezioni di dizione. Il clan di Manhattan con libero accesso allo Studio Ovale sarebbe capeggiato da Rudy Giuliani, l’ex sindaco ora molto consultato da The Donald. Le visite ufficiali più frequenti sarebbero quelle di un altro leader autoritario, macchiettisticamente macho, che con Trump pare si stimi: l’amico Putin, chi altro (e altri; ma chi non è trumpiano, in questi giorni, in America, non ci ride su).