Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  febbraio 25 Giovedì calendario

«Renato Zero era magrissimo, geniale, quando si travestiva lo arrestavano e arrivava il papà, che faceva il poliziotto». Ornella Vanoni gioca coi ricordi

«Virginia Raffaele è bravissima, quando la sento, per prenderla in giro, le chiedo subito: “Abbiamo fatto l’amore io e te?”». Ride di gusto, Ornella Vanoni, anticipando la domanda sulla comica che la dipinge come una lady svampita, persa tra gli amanti. Ormai si sovrappongono, la voce è identica. Ottanta anni e non sentirli, la cantante, in scena sabato all’Auditorium Parco della Musica, con “Ornella free soul” (Roberto Cipelli al pianoforte, Bebo Ferra alla chitarra e Piero Salvatori al violoncello) torna al jazz. Gioca coi ricordi, con gli spettatori che cantano successi diventati la colonna sonora di una vita.
Ornella, che significa tornare al jazz?
«Ma il jazz c’è sempre stato nella mia vita. Anche Gino, detto Paoli, la pensa così. Non avevo più voglia di fare il pop classico. Il jazz è essenziale, ne ho parlato con Paolo Fresu. Non dico che l’ho scoperto, si sarebbe scoperto da solo, ma Fresu è unico».
Dove l’aveva visto?
«Si esibiva al Tangram, c’era scritto: “Stasera trio eccezionale”. Il primo: mah, il secondo: bah e alla fine arriva uno vestito con una ciocia in testa. Tutto sbagliato. Mette la bocca sulla tromba e mi si spezza il cuore».
Si emoziona con gli altri, e continua a emozionarsi quando è in scena?
«Sempre. Ma non è più paura, prima avevo paura. Da ragazza che strisciavo come un verme ero timidissima, la prima volta che ho cantato coprivo le scenografie dei Giacobini di Zardi. Arriva Strehler e fa: “Hai grande talento”. Non ho dormito per vent’anni. Sono andata tutta la vita contro la mia personalità».
Però ha vinto.
«Noi donne abbiamo carattere».
C he rapporto ha con Roma?
«Ci ho vissuto negli anni 70 mi sono divertita come una pazza, frequentavo un gruppo di amici di cui faceva parte Renato Zero… Era magrissimo, geniale, quando si travestiva lo arrestavano e arrivava il papà, che faceva il poliziotto».
Lei dove abitava?
«Prima sull’Appia, poi in centro, in via Gregoriana. Ci ho vissuto undici anni. Oggi vado in albergo, girando per fare i concerti non vedi le città. Roma è talmente bella che è difficile scalfirla eppure pare che ci siano riusciti, mi dicono che sia trascurata, sporca, ma anche Milano non è messa bene, ed è anche meno grande. Sa cosa mi è rimasto di Roma? Le battute romanesche, l’ironia stemperata nel cinismo».
Le più grandi della musica: lei, Mina, Iva Zanicchi, Milva...
«Sì, direi di sì. Iva ha una voce bellissima. Di Milva non mi piaceva la vocalità ma niente da dire. E Mina è Mina: avevamo lo stesso truccatore, ci chiamavano “body” e “soul”. Io ero “soul”. Quando ho cominciato a fare musica mi muovevo poco, venivo da Strehler. La popolarità è arrivata con L’appuntamento, sono entrata nel cuore del pubblico. Mina cantava Mille bolle blu. Ha portato la gioia».
Le piacerebbe un woman show in tv?
«L’Italia è maschilista se fossi stata inglese o francese, chissà. Ma qui quando la donna non è più oggetto erotico è finita... Ma fa fatica anche prima, per fare carriera. Peccato perché le donne portano molta fantasia nelle cose che fanno. Passavo come una “col cattivissimo carattere”, in realtà volevo rispetto».
Anche con gli uomini?
«Certo. Nessun uomo mi ha picchiato, una volta uno mi ha dato una sberla. Sono uscita di casa – mia – poi ha fatto le valigie».