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 2016  febbraio 25 Giovedì calendario

C’è una nuova testimone per la morte di Pantani

Il colpo di scena ha nome e cognome. Quelli di una testimone mai sentita dalla Procura di Rimini che 18 mesi fa ha riaperto il caso sulla morte di Marco Pantani avvenuta il 14 febbraio 2004: omicidio volontario l’ipotesi di reato. Nel dicembre 2014 una escort sudamericana si è presentata spontaneamente in una stazione dei carabinieri in Toscana per raccontare particolari importanti. «Ho letto delle indagini sul ciclista, quello morto... Beh, tre mesi prima che accadesse in quello stesso residence dove è stato trovato cadavere, ci siamo incontrati. Lui aveva lasciato 500 euro al portiere: mi ha reclutato dandomene 300, gli altri li ha tenuti come mancia. Poi sono stata fatta salire nella stanza di Pantani: era con un’altra persona...».
Parole pesanti come pietre, da approfondire. Perché se il racconto trovasse conferme, allora spazzerebbe via molte delle convinzioni sulle quali si basa la richiesta di archiviazione presentata dal procuratore Paolo Giovagnoli. Tanto per cominciare, il Pirata conosceva eccome il Residence Le Rose, mentre finora è stato raccontato che non c’era mai stato prima. E diventerebbe fondamentale capire chi era in compagnia del romagnolo quel giorno. E, soprattutto, in parecchi dovrebbero spiegare perché è stato tenuto nascosto il fatto. In questo mare di supposizioni, resta un dato di fatto significativo: gli investigatori, una volta avuto il verbale dai carabinieri, hanno scelto di non sentire la donna. Punto controverso e per certi versi inspiegabile, sul quale l’avvocato Antonio De Rensis ha affondato i colpi nel corso di una udienza molto tesa, con ripetuti scontri verbali con il pm. Ad ascoltare, in silenzio, c’era mamma Tonina, mentre il giudice Vinicio Cantarini prendeva appunti.
La storia dell’escort (agli atti) è stata solo uno dei passaggi del duro confronto. La mattina era cominciata con l’arrivo al Tribunale di De Rensis e Tonina Pantani. Pioggia fine e nebbiolina a rendere l’atmosfera gelida, come lo stato d’animo della mamma di Marco che non ha mai creduto alla versione ufficiale della vecchia inchiesta: morte per overdose di cocaina. In aula la temperatura si è alzata di molto, specie quando ha preso la parola l’avvocato. In un crescendo rossiniano ha contestato le (non) indagini della Procura, elencando una alla volta le tante incongruenze di una richiesta di archiviazione giudicata affrettata. «Il consulente della Procura – ha incalzato De Rensis – sostiene che Pantani sia morto per gli antidepressivi prescritti da un dottore che era il responsabile del Sert di Ravenna. E non vogliamo sentirlo per vedere se condivide questa tesi? Non vogliamo fare gli altri esami chiesti dallo stesso consulente?». Non solo, il legale ha ricordato come le convinzioni del pm poggino principalmente sulla testimonianza del portiere del residence: «La stanza era chiusa dall’interno». Insomma, nessuno poteva entrare per uccidere Pantani. «Ma non è così – ha ricordato De Rensis —: basta leggere le parole riferite da Pietro Buccellato (il portiere, ndr) agli inquirenti. C’è scritto testualmente “pensavo a una fuga del cliente per non pagare il conto, con la porta chiusa andando via”. Chi era dentro poteva benissimo uscire». E ancora: De Rensis ha chiesto al giudice che sia approfondito il rebus del lavandino staccato dalla parete, secondo il proprietario dell’albergo, ma rinvenuto sistemato; capire chi portò i giubbotti da sci a Marco e spiegare la collocazione del bolo di pane e cocaina vicino al cadavere. La temperatura dell’udienza è diventata rovente quando Giovagnoli, nella replica, ha contestato alcuni passaggi della controparte, ma De Rensis ha ribattuto leggendo proprio la richiesta redatta dal pm in cui si evidenziava «come nessuno poteva entrare o uscire dalla stanza», nonostante Buccellato abbia affermato un’altra cosa.
Dopo due ore, i «duellanti» hanno lasciato l’aula. Mamma Tonina, sollecitata dai giornalisti, ha spiegato: «Voglio delle risposte, possono anche archiviare, ma prima devono darci delle spiegazioni. E finora non le hanno date: sono dodici anni che chiedo chi ha portato quei giubbotti nella stanza di Marco. Il procuratore non ha mai preso in considerazione gli elementi nuovi che abbiamo portato a sostegno delle nostre tesi. Ora spero lo faccia il giudice».
La risposta non arriverà in tempi brevi: il gip si è riservato la decisione e, vista la complessità del caso, forse non basteranno diverse settimane. Ulteriori indagini o archiviazione: queste le alternative. Della serie: vita o morte di un’inchiesta molto particolare.