Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  febbraio 25 Giovedì calendario

L’informazione Rai è come un orologio fermo. Parola di Carlo Verdelli

«È come se l’orologio della Rai si fosse fermato al Novecento» dal punto di vista stretto dell’informazione televisiva, radiofonica e digitale che fa. Peccato però che «siamo in un altro secolo e in un’altra civiltà»: ci è andato giù netto ieri in commissione Vigilanza Carlo Verdelli, primo direttore editoriale della televisione pubblica, nominato a inizio gennaio.
E l’ex direttore del Corriere della Sera, della Gazzetta dello Sport e di Vanity Fair (oltre che ex manager di Condé Nast Italia) ha fatto subito tre esempi di cose che non funzionano in Viale Mazzini: talk-show, telegiornali e Rainews.
I talk-show sono il primo punto dolente perché «bisogna rivedere il meccanismo narrativo di fronte al calo generale dell’audience della tv generalista», ha avvertito Verdelli. Questo «non vuol dire chiuderli» visto che «resta forte il bisogno di approfondimento» del pubblico e, inoltre, i talk-show «hanno fatto cose anche importanti, ma ora improvvisamente è come se qualcosa battesse in testa e non c’è una formula alternativa».
I telegiornali sono il secondo capitolo da aprire dal momento che «se ho i tre tg della sera che hanno lo stesso elenco di titoli e di notizie vuol dire che io presumo che esista un solo modo di fare informazione, mentre se ho tre strumenti li faccio suonare in modo un po’ diverso», ha proseguito il direttore editoriale Rai. «Le notizie sono diverse, i modi di tagliarle sono diversi: la mission del Tg1 è un po’ diversa dalla mission del Tg2 che a sua volta è un po’ diversa dalla mission del Tg3». In particolare, sempre secondo il giornalista e manager, la diatriba sulla presenza nutrita di giornalisti Rai di diverse testate agli stessi eventi «è interessante non tanto perché indice di spreco» ma perché «per alcune testate la presenza in loco a seguire una conferenza stampa è importantissima, per altre dipende dal taglio che avranno». E allora quando cambieranno i direttori dei tg per dare avvio al nuovo corso dell’informazione pubblica? Cambieranno «quando ci saranno dei segni evidenti che la Rai ha iniziato a muoversi verso gli anni Duemila», ha puntualizzato Verdelli. «I direttori che saranno considerati più adatti faranno questo cammino, gli altri saranno sostituiti».
Rainews è il terzo e ultimo nodo da sciogliere considerando che il canale all news «ha numeri troppo piccoli rispetto al numero di persone che ci lavorano e una persona come la mia, nella posizione in cui è, non può accettarlo», ha rilanciato Verdelli. Alla commissione di Vigilanza ha ricordato che «Rainews numericamente occupa il 21° posto nella classifica degli utenti unici dei siti web e questo rappresenta un segnale grave di allarme. Più che degli errori, c’è stata una sottovalutazione di quello che stava accadendo. È un problema enorme, non possiamo raccontare bugie, se un’azienda vuole stare nel mondo della comunicazione» così come vuole fare il canale all news della tv di stato da poco diretto da Antonio Di Bella (ex direttore di Rai 3, già corrispondente Rai da New York e poi da Parigi, che ha preso il posto del neopresidente Rai Monica Maggioni). La dichiarazione ha suscitato, però, le critiche della redazione di Rainews per cui «sono molti mesi», ha fatto sapere con una nota il comitato di redazione (cdr), «che Rainews24 chiede ai vertici aziendali di approntare un piano editoriale adeguato per un all news che ha progressivamente perso autorevolezza e pubblico in assenza di un prodotto informativo adeguato».
La sintesi di Verdelli, insomma, è stata che «un’azienda descritta come la più grande azienda culturale del paese ha un problema di adeguamento ai tempi, non è adeguata ai bisogni, alle esigenze che il pubblico degli italiani che continueranno ad essere tanti, finché la Rai sarà l’azienda chiamata a gestire il servizio pubblico dell’informazione». Attenzione però perché «non c’è più tempo da perdere: tempo, in buona fede, se ne è perso. Davanti c’è una sfida indifferibile». A proposito di cambiamenti, poi Verdelli ha citato anche la nomina del nuovo direttore di Rai Sport Gabriele Romagnoli (ex Stampa e Repubblica) per indicare che per eventi importanti come Euro 2016 e le Olimpiadi di Rio 2016 «serve una narrazione dello sport un pochino diversa da quella che la Rai ha fatto fino ad oggi». Certo cambiare comporta dei rischi, sempre secondo il direttore editoriale, ma sono rischi da prendere «perché le cose migliorino». Del resto, «la funzione del servizio pubblico non è quella di tranquillizzare ma informare, che è una cosa vicina ma non è la stessa».