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 2016  febbraio 25 Giovedì calendario

È diventato un film (e un libro) la vicenda dello sceneggiatore Dalton Trumbo, comunista americano in anni sbagliati

Quando le associazioni di destra, tra cui i Veterani Cattolici di Guerra, lessero sui principali giornali americani che il nuovo film di Stanley Kubrik, Spartacus, interpretato e prodotto da Kirk Dougkas, è stato scritto da Dalton Trumbo, uno dei Dieci di Hollywood, un famigerato comunistone da dieci anni in lista nera, partirono subito i picchetti dei bravi cittadini indignati e dei cattolici timoratissimi di Dio, che bloccano le entrate delle sale cinematografiche.
Poi un giovane leader democratico, il cattolico John Fitzgerald Kennedy, supera uno di questi picchetti a New York e in compagnia di sua moglie, Jacqueline, prende il biglietto e guarda il film. All’uscita, intervistato dai giornalisti che lo seguono dappertutto, il futuro presidente degli Stati Uniti dice che il film (oggi inguardabile) gli è piaciuto. È il 1960, ed è lì che finisce, senza più picchetti né drammi, la caccia alle streghe nel mondo del cinema cominciata tredici anni prima, nel 1947, quand’era normale e financo «patriottico» che la Commissione del Congresso incaricata d’indagare sulle attività antiamericane convocasse sceneggiatori, attori, registi e chiedesse loro a muso duro se «erano iscritti, o erano mai stati iscritti, al partito comunista».
Trumbo, naturalmente, lo era o lo era stato, come racconta Bruce Cook nel suo L’ultima parola. La vera storia di Dalton Trumbo, Rizzoli 2016, pp. 409, 19,00 euro, ebook 9,99 euro (un bel libro del 1977 tradotto solo adesso, in occasione dell’uscita del film, con lo stesso titolo, che ne è stato tratto dal regista Jay Roach). A Hollywood il partito era potentissimo, anche se non è vero che i comunisti di Beverly Hills (il cui segretario generale era il grande Dashiell Hammett, autore del Falcone maltese e di Raccolto rosso, romanziere eccezionale e classico «comunista con piscina», come venivano chiamati allora i bolscevichi chic) contrabbandassero nei loro film «messaggi comunisti e antiamericani», come fantasticavano i maccartisti hollywoodiani.
Può testimoniarlo chiunque abbia visto i noir degli anni Trenta e Quaranta o i western e i film di guerra dell’epoca. Erano film pieni di difetti, a volerli proprio cercare: erano sciropposi, spesso formalmente sbrigativi, facili al patetismo sociale, psicologisti, tutto tranne che comunisti. I Dieci di Hollywwod erano attivi nel sindacato e partecipavano alle riunioni di cellula nei campi da golf e nei locali eleganti del Sunset Boulevard inneggiando a Stalin e alla rivoluzione socialista. Quisquilie.
Mentre altri «comunisti milionari» prendevano le distanze dal partito, facendo il nome degli ex compagni e trasformandosi in pentiti di mafia senza che ci fosse una mafia di cui pentirsi, i Dieci di Hollywood fecero fuoco e fiamme durante le audizioni, s’appellarono al primo emendamento rifiutandosi di rispondere e negando che la commissione avesse l’autorità legale d’interrogarli. Furono condannati per aver mancato di rispetto al Congresso, un reato ridicolo che costò a tutti loro un anno di galera e la lista nera: Hollywood non li avrebbe mai più fatti lavorare. Non ufficialmente almeno.
Sottopagato, malvisto dai vicini di casa, con i suoi bambini trattati da paria nelle aule scolastiche di Los Angeles, Trumbo scrisse sotto pseudonimo decine di film, tra cui il classico Vacanze romane, oltre a innumerevoli B movies. Sotto pseudonimo, vinse persino un Oscar per La più grande corrida, un film del 1957. Poi l’America cambiò. A Kennedy piacque Spartacus, il movimento per i diritti civili mosse i suoi passi decisivi, ci furono gli hippies, Bob Dylan e la New Left. Trumbo e gli altri tornarono a interpretare, scrivere e dirigere i film, come vent’anni prima, nell’età del bianco e nero.
Non era più la stessa cosa, però. Trumbo sarebbe morto nel 1976. Aveva scritto Joe il Pilota, Exodus, Solo sotto le stelle, Papillon. Ma non scrisse mai il film che a un comunista hollywoodiano da piscina, come scrivono Larry Ceplair e Steven Englundin Inquisizione a Hollywood, sarebbe forse piaciuto scrivere: la riduzione cinematografica del Che fare? di Lenin. Non c’era mayor disposta a finanziare un tale film. Solo «se il Che fare? di Lenin si fosse rivelato un best seller Darryl F. Zanuck avrebbe tentato d’acquistarne i diritti e, dopo averli ottenuti, avrebbe subito messo sotto contratto Ring Lardner jr.», un altro dei Dieci di Hollywood, grande amico di Trumbo, «perché adattasse questo classico testo organizzativo del partito comunista facendone una storia che si svolge all’interno d’un piccolo ma combattivo giornale di provincia, con Tyrone Power nella parte di Lenin, il direttore, e Donna Reed nella parte della Krupskaja, la sua adorabile ma trascurata assistente».