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 2016  febbraio 25 Giovedì calendario

Contro la satira in tv e contro Luttazzi. Intervista a Gene Gnocchi

«Sono sempre stato scettico nei confronti della satira». Gene Gnocchi ha un’idea molto personale di comicità: un surreale che non si accontenta del nonsense e si spinge ben oltre la follia. Ultimamente in tivù si vede poco, se non come sondaggista anomalo nell’ancor più anomala (per lui) Quinta Colonna. Il ciclo del Fatto dedicato a «che fine ha fatto la satira in tivù», cominciato col guerreggiante scambio con Daniele Luttazzi, riparte con lui.
Perché è scettico?
«Il grande Flaiano diceva che, per fare satira politica, devi essere certo di dire la verità e produrla almeno in triplice copia. Quando batti quella strada sei già al limite del genere».
Dalle parti di Grillo e Sabina Guzzanti.
«Esatto. E poi ormai c’è poco da scoprire: c’è proprio poca ciccia politica. Quando vedi Gasparri al mattino a Omnibus e poi lo rivedi la sera tardi a Linea Notte, lui stesso è già divenuto caricatura. Ha fatto tutto da solo. Come Salvini, che è sempre in tivù e alla fine lo trovi su Rai Yo Yo che dà del “negro” a Calimero».
Forse sono anche i satirici a porsi limiti: con Berlusconi era “facile”, con Renzi vuol dire attaccare la “sinistra”.
«È possibile, ma Renzi incarna un potere diverso. Berlusconi era il potere tutto d’un pezzo: il “nemico” evidente. Renzi ha mille rivoli: è quello di Verdini, delle banche, della finanza. È più difficile da colpire, anche se sta mettendo tutti i suoi uomini nelle caselle giuste. E questo lo rende potentissimo».
In tivù, tra i satirici, lo attacca solo Crozza.
«Conosco bene Maurizio. Tecnicamente è bravissimo e ha alle spalle venti autori che gli sfornano le battute. Li conosco tutti, hanno scritto anche per me: da Freyrie a Robecchi, da Zalone a Bottura. Gli voglio bene, ma non credo abbia lo spessore per essere un monologhista: non vedo in lui la necessaria profondità di pensiero, ecco».
A lei Benigni non è mai piaciuto granché.
«Gli ho sempre preferito Villaggio, perché è uno che non ha paura di cadere e rischia sempre il disastro. E ciò lo rende un genio vero. A me piacciono molto di più i perdenti. Benigni mi è sempre parso un calcolatore: uno che fa il compitino, che fa sempre la cosa utile. Utile per lui».
Per molti anni, in Italia, la satira ha coinciso con Luttazzi. La sua storia rende più che mai attuale il confine tra citazione e plagio.
«La questione è molto semplice: un comico non deve mai attingere e se lo fa deve dirlo. Se non lo fa, non è citazione ma plagio. A me dispiace per Daniele, persona di intelligenza e talento. Abbiamo cominciato insieme a La zanzara d’oro. Però una cosa mi ha dato molto fastidio».
Quale?
«Che fino al giorno prima fosse lì a dare i patentini di vera satira a questo o quello, come se lui fosse sopra tutti. Poi guardi i video che lo riguardano e sono purtroppo evidenti: ha “attinto” – uso questo eufemismo – da un sacco di gente. E non ce lo ha detto. Ora parla di citazioni e riletture perché sa di essere nel torto. Gli auguro buona fortuna».
Un programma come Emilio è irripetibile?
«Sì, perché quella tivù ti dava tempo di sperimentare e perché con me c’era un gruppo incredibile: Teocoli, Faletti, Orlando, Gaspare e Zuzzurro, Athina Cenci. Oggi non hai tempo, non ci sono mai soldi e devi avere successo subito. Ne ho fatto le spese anch’io, per esempio con Dillo a Wally: forse la cosa televisiva di cui vado più fiero».
Però i talenti ci sono ancora. Magari in Rete.
«Quelli di Lercio mi fanno molto ridere. Invece i vari Terzo Segreto di Satira, The Pills, Jackal e Maccio Capatonda non mi fanno impazzire. I miei figli me li consigliano: li guardo e li trovo simpatici, ma non mi fanno impazzire. Neanche mi paiono così nuovi: si limitano al bozzetto gradevole, ma finiscono lì».
Anche Spinoza è un gran collettivo, ma sul caso Bosso è inciampato.
«La satira non deve porsi limiti, anche se quando scherzi su temi come l’handicap devi avere un’attenzione particolare. Molto semplicemente, e l’ha ammesso anche Spinoza, quella battuta non era un granché. Capita a tutti di sbagliare».
Perché non è più in tivù o quasi?
«Perché non piaccio a chi la fa. Nessun complotto o censura, non è che ci sia una lobby contro di me. Ogni tanto propongo qualche puntata zero, in Rai come a Cairo, però non vanno mai in porto. Avevo un’idea per una terza serata, una sorta di “lezioni alternative di rock” con mia figlia. Le ho proposte a Raidue, hanno preferito puntare su J-Ax. Pazienza».
Non fa più neanche La Domenica Sportiva.
«Scelta lecita anche quella. Adesso c’è Antinelli, ogni tanto la guardo: non mi piace, ma neanche mi dispiace».
Il ritiro del “suo” Federer si avvicina.
«Sarà dura, perché quello che fa lui non lo fa nessuno. Certo, mi divertono i Kyrgios e i Dolgopolov, ma sono eccezioni: quasi tutti i tennisti di oggi sono bastonatori. Lunga vita a Federer e alla Vinci. Comunque, di Roger ho appena comprato il menisco operato su eBay».
Lei amava Savicevic. Qualche erede?
«Nessuno, ma in Serie A mi fa impazzire Pjanic. E salvo ancora Cassano: quando vuole è unico».