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 2016  febbraio 25 Giovedì calendario

Gli assassini di Giulio Regeni ci prendono in giro

A un mese dal rapimento di Giulio Regeni, il presidente del Consiglio si trova nella disagevole condizione di dover ammettere che il generale al-Sisi non è esattamente l’amico e l’alleato sul quale aveva investito molto. Malgrado le educate richieste di “chiarezza” avanzate dal governo, da ultimo con patriottica fermezza (seppure mitigata da Renzi con un richiamo all’amicizia), il generalissimo non vuole rivelare quali dei suoi sgherri abbiano torturato e ucciso il ricercatore. Dell’Italia a quanto pare se ne infischia, evidenza che adesso obbliga il governo a cambiare tono. Mostrarsi irati, decidere ritorsioni?
Ieri Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni pareva aver imboccato questa strada con una richiesta ultimativa alla Procura di Giza perché consegni quanto nasconde (documenti, filmati e referti medici). I magistrati egiziani cercheranno di tirarla ancora per le lunghe ma ormai è chiaro che dal Cairo l’Italia al massimo può attendersi una balla meno sgangherata delle precedenti.
Nell’ordine di tempo ministri, magistrati e giornali egiziani finora hanno sostenuto che Regeni era morto in un incidente stradale; che era stato ucciso da due criminali comuni; che era stato scambiato per una spia e torturato a morte; che è stato vittima di terroristi o di una vendetta per “questioni personali” (il ministro dell’Interno, ieri). Riuscissero pure in futuro a produrre una falsità meno inverosimile, gli apparati egiziani ormai non possono più cancellare un fatto decisivo: mentendo fin dalla prima ora, il regime ha confessato che conosceva da subito la verità, e che era una verità indicibile, altrimenti non vi sarebbe stata necessità di occultarla dietro bugie a raffica.
Presto gli investigatori inviati al Cairo torneranno in Italia con un bilancio desolato (depistaggi, scarsa collaborazione) e a quel punto il governo dovrà prendere definitivamente atto che Renzi ha frainteso: l’amico al-Sisi in realtà sta dalla parte degli assassini (peraltro non da ora: tre anni fa lui e gli altri generali del golpe si presentarono al mondo massacrando 1.150 dimostranti in una giornata). E anche come alleato è infido, non asseconda i piani italiani in Libia.
Dunque presto il governo sarà chiamato a decidere cosa fare. Esprimere all’Egitto di al-Sisi risentimento con un gesto forte (ma quanto forte?) porrebbe fine alla commedia della “collaborazione”, in qualche modo restituirebbe all’Italia dignità e aiuterebbe Renzi a occultare i propri errori di valutazione. Però potrebbe danneggiare l’interesse nazionale e non aiuterebbe a scoprire la verità.
Forse sarebbe meglio smetterla con i dignitosi proclami e reagire con i fatti, in silenzio e in segreto. Perché l’Unione europea finalmente reagisca al massacro egiziano, nel caso con sanzioni ad personam. E per individuare gli assassini di Giulio Regeni, esecutori e capi (questi ultimi, se le cose vanno come nelle previsioni di analisti americani, in un giorno non lontano finiranno appesi ai lampioni di piazza Tahrir). In ogni caso, sarebbe opportuno che una alta figura istituzionale garantisse che a Giulio Regeni sarà resa giustizia.
Il regime egiziano non pare molto preoccupato da eventuali ritorsioni italiane, cui evidentemente non crede. Finora ha cercato di occultare la verità con svogliatezza e irritazione, come se considerasse irrilevanti sia la vicenda sia le accorate richieste che arrivavano da Roma. Con maggior impegno, da una settimana segmenti periferici del giornalismo italiano tentano di accreditare la tesi per la quale gli assassini di Regeni volevano compromettere al-Sisi e danneggiare i buoni rapporti con Renzi. Assolvere l’egiziano in questo caso serve ad assolvere l’italiano, che ancora in settembre rivolgeva ad al-Sisi dichiarazioni di stima e di amicizia imbarazzanti allora, figuriamoci adesso. Ma a meno che al Cairo non riescano a puntellarla per benino, la versione che vuole il generalissimo parte lesa è troppo grottesca per trovare credito.