Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  febbraio 25 Giovedì calendario

I conti della moda italiana sono buoni, anzi, ottimi

I numeri (ottimi) del settore tessile-moda-abbigliamento li conoscevamo. Sapevamo che le fashion week di Milano sono solo la punta di un iceberg di una filiera unica al mondo. Come sapevamo che il sistema è composto anche da manifestazioni fieristiche, quasi tutte ospitate a Milano, che sono leader nel mondo e che a loro volta hanno sotto “piccoli iceberg” composti da singoli distretti o settori. Vedere il quadro generale però è tutt’altra faccenda e finora a mancare era stata proprio una visione – e collaborazione – d’insieme. Da Milano ieri è arrivato un doppio segnale di svolta. Da una parte politica: la presenza del premier Matteo Renzi all’inaugurazione della settimana della moda ha confermato l’attenzione di questo esecutivo al sistema. Un’attenzione che dura in realtà da due anni, da quando cioè il premier affidò a Carlo Calenda, viceministro per lo Sviluppo economico, il “dossier moda”, capendo che non di sole sfilate e modelle ed eventi si trattava, ma di una filiera industriale-creativa-distributiva unica al mondo, che aveva però bisogno di coordinamento. Così come c’era bisogno di una politica industriale per un settore da troppi anni abbandonato a se stesso e alle capacità di singoli imprenditori e aziende, piccole, medie e grandi. Ma se c’è un sistema – e una città – che meritano una rinnovata attenzione, per innescare un circolo virtuoso, sono la moda e Milano.
Rivediamoli, i numeri: il fatturato 2015 della filiera composta da tessile-abbigliamento-pelle-pelletteria-calzature è stato (e senza comprendere l’indotto) di 62,02 miliardi di euro, in crescita dell’1,4% rispetto al 2014. Una percentuale che avrebbe potuto essere maggiore se non ci fosse stata una brusca frenata nel terzo trimestre 2015 legata anche al rallentamento della Cina e dell’export. Una crescita comunque più che doppia rispetto a quella del Pil italiano dello scorso anno (+0,7%) e che dà l’idea della forza di una filiera che da sola rappresenta il 41% di tutta la produzione di moda europea, contro l’11% della Germania e l’8% della Francia.
Non a caso i francesi, che a partire dagli anni 60 hanno smantellato la loro filiera, hanno comprato tanti marchi italiani ma continuano a produrli qui. Si calcola che il 60% dei prodotti di alta gamma francesi siano fatti in Italia e il solo gruppo Lvmh, il più grande al mondo nel lusso, nel 2015 ha investito nel nostro Paese oltre 100 milioni. I progetti più importanti sono manifatturieri, come la fabbrica di scarpe Vuitton sulla Riviera del Brenta, il potenziamento della struttura di Bulgari a Valenza o lo stabilimento modello di Berluti alle porte di Ferrara.
Per il primo semestre le stime di aumento del fatturato del sistema sono del 2,5% e – in assenza di scossoni geopolitici o finanziari – questo porterebbe il fatturato 2016 vicino ai 70 miliardi. A partire dal 2010 gli addetti sono andati diminuendo, ma sono ancora poco meno di 600mila e con l’indotto la cifra aumenta di molto. C’è voluto un grande pranzo inaugurale alla Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, proprio di fianco al Duomo, per dare concretezza alla visione generale di cui parlavamo all’inizio. Ai vari tavoli sedevano i fondatori, proprietari o amministratori delegati di tutte le “one billion companies italiane della moda” e quelli delle tante aziende di medie dimensioni che compongono il sistema. Accanto a loro, i rappresentanti delle associazioni di settore e gli organizzatori delle fiere. Un settore, quello fieristico, che sta cercando di coordinarsi al suo interno e con tutti gli altri attori. Anche grazie al Comitato della moda voluto da Calenda, la cui presidenza passerà a Ivan Scalfarotto, attuale sottosegretario alle Riforme, che già sabato prossimo sarà a Milano per inaugurare le fiere del pret-à-porter (White, Mipap e Super) che si sovrappongono parzialmente alla fashion week. Calenda in marzo si trasferirà a Bruxelles come rappresentante permanente dell’Italia presso le istituzioni europee. Un cambiamento – è stato lo stesso viceministro a dirlo ieri – foriero di ulteriori vantaggi per il sistema moda. Calenda ha assicurato che porterà all’attenzione della Commissione alcuni dossier importanti, come quello sul “made in obbligatorio”.
A sottolineare il ruolo di Milano come vetrina e come volano per il sistema – che resta radicato in modo capillare in tutto il nostro Paese, con distretti di eccellenza localizzati in varie regione, da Nord a Sud – sono stati anche il sindaco Giuliano Pisapia e il presidente della Camera della moda Carlo Capasa. «Ho compreso l’importanza del settore solo dopo essermi insediato a Palazzo Marino – ha confessato Pisapia –. Ma ci è voluto poco e ora che mi avvio alla fine dell’esperienza di governo della città posso dire di aver capito che nel mondo c’è voglia di Milano, di moda italiana e di italianità in senso più ampio». Ancora una volta, i numeri li sapevamo: dalla moda viene un quinto del Pil della città e alla moda e alle sfilate si deve da sempre un’immagine positiva del nostro Paese. Capasa ha ricordato, oltre al ruolo del governo Renzi, quello dell’Ice e del suo presidente Riccardo Monti. Il presidente della Camera della moda ha sottolineato però soprattutto il ruolo degli imprenditori, definendoli «unici al mondo» e dei designer italiani, «stimolo e ispirazione per il fashion system italiano e per quello globale».
A questo proposito val la pena citare l’articolo uscito due giorni fa sul New York Times che rilancia la settimana della moda milanese non solo come momento di business, ma come motore creativo: «Negli ultimi cinque anni è da Milano che sono partiti, a volte in sordina, gli astri nascenti della moda globale». Tra i nomi citati, Alessandro Michele, celebratissimo direttore creativo di Gucci (brand prodotto in Italia ma punta di diamante di Kering, secondo gruppo del lusso al mondo, francese come Lvmh), Rodolfo Paglialunga (Jil Sander) e Alessandra Facchinetti (Tod’s). «Negli ultimi anni da Milano c’era stata una specie di fuga di cervelli creativi, ma il trend sembra invertito», ha confermato Andrea Cavicchi, imprenditore tessile del pratese e presidente del Centro di Firenze per la moda, fautore a sua volta di un altro passo verso una vera logica di sistema, grazie a una rinnovata collaborazione tra le fiere fiorentine di Pitti e le settimane della moda milanesi. «Milano è il fulcro della moda italiana – ha aggiunto Cavicchi – ma se riuscissimo a dare il giusto e coordinato ruolo a Firenze e Roma avremmo un sistema irripetibile in qualsiasi altro Paese».