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 2016  febbraio 25 Giovedì calendario

Cent’anni senza Henry James

Il 3 marzo, nella Old Church di Chelsea, si svolgerà un raffinato incontro letterario per celebrare il centenario del funerale di Henry James, che si svolse in quella chiesa il 3 marzo 1916, pochi giorni dopo la morte, avvenuta il 28 febbraio. Nell’ultimo periodo della sua vita James aveva preso casa lì vicino, in Cheyne Walk, al numero 21 di quelle Carlyle Mansions tanto amate dagli scrittori (al 19 abitò T. S. Eliot, al 27 Somerset Maugham, al 24 Ian Fleming). E nel 1915, lui, americano, indignato per il non intervento in guerra degli Stati Uniti, aveva preso la cittadinanza britannica.
James era nato a New York nel 1843; ma in seguito la famiglia si era trasferita a Boston, a due passi da Harvard, dove lui si era iscritto a Giurisprudenza. Lasciò però presto gli studi giuridici per dedicarsi a quelli letterari e alla scrittura: i suoi primi racconti e saggi furono pubblicati nel 1868. L’anno dopo partì per l’Inghilterra, ma tornò subito a Boston alla notizia della morte della cugina Minny, di cui era innamorato, e che diventò la Milly di Le ali della colomba. Fu il grande amore della sua vita. L’unico.
Due anni dopo di nuovo lasciò l’America per l’Europa; e poi si stabilì, definitivamente, in Inghilterra, il luogo ideale dove realizzare la sua missione letteraria. Il romanzo inglese, pensava, era affetto da un presuntuoso provincialismo, ingabbiato in schemi paralizzanti e stantii, consegnato a una scrittura realistica piatta e superficiale. Aveva bisogno di un Flaubert che lo scuotesse dalla sua stanca ripetitività. Il Flaubert di lingua inglese sarebbe stato lui.
La scelta dell’Europa
Per quanto riguarda la forma, il contributo di James fu decisivo. E il suo romanzo «aperto», problematico, volutamente ambiguo e sospeso, fu affidato a una scrittura fluviale, come d’altronde era la sua conversazione, che lo aveva reso famoso nei circoli letterari di Londra. Questo aspetto verbale di una prosa così complessamente «scritta» fu poi accentuato dal fatto che negli ultimi anni James dettava a un’ammiratrice che gli si era proposta come segretaria le pagine dei suoi romanzi (il memoir della «dattilografa» Theodora Bosanquet, Henry James al lavoro, è stato appena pubblicato da Castelvecchi, pp. 62, € 9,50).
Il capolavoro di James, Ritratto di signora, uscì nel 1881 sull’Atlantic Monthly, con cadenza mensile dunque, come era avvenuto per molti di quei romanzi inglesi che così poco apprezzava. E di fatto anche lui utilizzò quindi il «trucco» dei romanzieri vittoriani per agganciare il lettore, lasciandolo di mese in mese in attesa delle risposte alle domande poste dagli sviluppi della vicenda. Nella prima parte del romanzo la domanda decisiva è «Chi conquisterà Isabel, la deliziosa protagonista»? E dopo il suo disastroso matrimonio, nel finale la domanda cruciale sarà invece «Isabel lascerà suo marito?». A questa domanda, però, il libro non risponde. Deciderà il lettore.
Sempre attuale
Isabel è l’incarnazione di quella che un po’ forzatamente è stata definita la chiave della narrativa di James: la contrapposizione tra l’innocenza americana e l’esperienza europea. I giovani del Nuovo Mondo, genuini, solari, «innocenti», devono fare i conti con le astuzie, la spregiudicatezza, il cinismo, e cioè con l’esperienza, del Vecchio Mondo. Non soltanto i giovani, anche i meno giovani, come il protagonista di Gli ambasciatori, altro capolavoro di James, pubblicato in questi giorni nella nuova traduzione di Marcella Bonsanti (Elliot, pp. 568, € 22). Una lettura piuttosto impegnativa per le dimensioni, 568 pagine, ma che non deluderà il lettore paziente.
E se la lunghezza è un deterrente, per apprezzare il genio di James basterà allora rivolgersi ai due capolavori «brevi». Uno è Il giro di vite, splendido racconto di fantasmi. L’altro è Il carteggio Aspern: ovvero, i maneggi di uno studioso che si crede disposto a tutto per recuperare preziosi documenti. Ma poiché «tutto» significa il matrimonio con la detentrice del carteggio, lo studioso rinuncia (non era disposto a tutto).
Il cerimoniere dell’incontro nella Old Church sarà Philip Horne, il general editor dei trenta volumi dell’opera completa di James in pubblicazione presso la Cambridge University Press. Sostiene Horne che James, il Maestro, è un autore tuttora attualissimo, uno scrittore per i nostri giorni. Ha ragione. Forse di lui, come per Shakespeare, si può addirittura dire che è «nostro contemporaneo».