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 2016  febbraio 25 Giovedì calendario

A Calais, tra i 4.000 profughi che stanno per essere sgombrati

Assonnato, spunta fuori da un container bianco scintillante. È mezzogiorno e piove fitto. Hamza è stanco: ci ha provato anche stanotte. «E mi è andata male. Ho cercato di saltare su un camion. Peccato che poi siano arrivati i poliziotti. Niente Inghilterra, ma non finisce qui». Potrebbe avere vent’anni, ma ne ha appena 14. Ha viaggiato da solo dall’Afghanistan dritto fino a Calais, il capolinea dell’Europa: «Mio fratello vive da dieci anni a Londra. Lavora: anch’io voglio rifarmi lì una vita». Come se già ne avesse vissute chissà quante di vite.
Giorni di ansia
Scivolano via giorni di ansia alla «giungla», baraccopoli di 4 mila persone (molti di più secondo le Ong), che si estende sulle dune a ridosso del mare. Il governo francese ha deciso di smantellare la parte sud, più vicina all’autostrada, dove i migranti cercano di introdursi di notte nei Tir, che di lì a poco si infileranno su un ferry destinato all’Eldorado: il Regno Unito. Ma 250 profughi e una decina di associazioni hanno fatto ricorso, per bloccare l’operazione. Non per difendere quell’ammasso di baracche, costruite con i teli di plastica, tra pozzanghere nere e rifiuti ormai disaggregati, aggrappati ai cespugli. Ma perché ritengono che sia troppo presto. E che si potrebbe scatenare un fuggi fuggi generale: la riproduzione di nuovi campi, ancora peggio di questo.
Al tribunale competente, quello di Lilla, era previsto che prendessero una decisione lunedì. Quel giorno le ruspe dovevano entrare in azione. Ma è stato tutto rimandato. Non è chiaro quando i giudici si pronunceranno: oggi, forse. O anche più tardi. «Siamo impazienti che diano il via libera», sottolinea Philippe Mignonet, vicesindaco di Calais, governata dai Repubblicani, il partito di Nicolas Sarkozy. «La città è esasperata». Neppure uno straccio di turista viene più a Calais, già destinazione di shopping low cost per gli inglesi. «Hanno gli occhi puntati contro: se entreranno in azione, comunque, lo faranno con il guanto di velluto», afferma Raphaël Etcheberry, di Médecins Sans Frontières (Msf), nella giungla con un pool di medici, già attivi nelle zone di guerra, qui a curare le dermatosi ricorrenti e l’epidemia perenne di scabbia.
Intanto, comunque, furgoni di polizia anti-sommossa si allineano silenziosi all’entrata del campo. Ieri pomeriggio, un sole smorto ha fatto capolino tra le nuvole. E un elicottero ha iniziato a ronzare basso sulle teste dei profughi. L’atmosfera è sospesa, irreale: si aspetta.
«Sogniamo Londra»
Hamza, il ragazzo afghano, che in Inghilterra vuole diventare medico, sbadiglia. E Barbara Jurkiewicz, volontaria di La Vie active, scuote la testa. «Glielo dico tutte le sere: ragazzi, non andate a rischiare la vita, a saltare sui treni o sui Tir. Ma invano». Nel Regno Unito sperano di trovare un lavoretto al nero più facilmente che in Francia e di subire meno controlli. La Vie active gestisce il campo container, dove vive anche Hamza, inaugurato lo scorso novembre. Ci sono 1500 posti letto disponibili. Ieri sera ce n’erano ancora 203 liberi. Ma nell’area sud, che deve essere distrutta, vivono mille persone secondo lo Stato (3.455, dicono le Ong). Dove andranno gli altri? «Si sta proponendo il trasferimento in centri di accoglienza in tutto il Paese – sottolinea François Guennoc, dell’associazione L’Auberge des Migrants – ma la maggior parte dei profughi vuole andare in Inghilterra e non si sposterà di qui. Creeranno nuovi campi, dovranno ricominciare tutto da capo». I curdi si stanno spostando a una quarantina di km, a Grande-Synthe, dove già 2 mila persone sopravvivono nel fango.
Nascosti nei Tir
Pierre Cami è pronto per la sua «ronda». Infermiere, ha 28 anni. «La scorsa estate ho iniziato a lavorare per Msf, volevo andare in Africa». Ma lo hanno mandato qui a Calais. Nel sud della giungla lo conoscono tutti. Vede un ragazzino zoppicare, uno dei minorenni senza famiglia del campo. «Alì, cosa è successo?», gli chiede. Ma lo sa già, è caduto da un Tir in corsa. «Domani vieni all’ambulatorio a farti vedere». A Pierre non scappa nulla. Sale verso la chiesa ortodossa, vicino al «quartiere» degli etiopi e degli eritrei (qui ci sono le poche donne della baraccopoli: alcune si prostituiscono per cinque euro). Poi scende verso una «scuola laica» creata da rifugiati e volontari (nessuna presenza scolastica francese nella giungla). L’atmosfera si fa animata in una grande struttura a forma di igloo, dove i famosi Jo e Jo, due giovani omonimi inglesi, organizzano incontri e spettacoli. Ieri sera facevano la satira di un processo contro la giungla, nell’attesa del giudizio vero, quello sul destino delle baracche intorno. Un ragazzo traduceva in persiano, mentre iraniani e afghani ridevano assieme a Jo (giacca di pelliccia nera), l’altro Jo (cravatta multicolore) e un gruppetto di dandy british. Scampoli di umanità e di improbabili convivenze. Mentre inesorabile e fastidioso l’elicottero continuava a ronzare sopra.