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 2016  febbraio 25 Giovedì calendario

Rom, rom, rom. La povera campagna elettorale romana

Un ex sindaco, Gianni Alemanno, sotto processo con accuse gravissime. Un altro, Ignazio Marino, disarcionato dal suo stesso partito dopo due anni di navigazione a vista. Servizi che non funzionano – trasporti, burocrazia, pulizia – quartieri con dati di disoccupazione da Mezzogiorno. Una macchina amministrativa soverchiata da inchieste che, dall’accusa di Mafia capitale giù a scendere fino ai reati minori, non risparmiano alcun settore: dal verde ai servizi sociali, dall’urbanistica alla polizia municipale. Questa è Roma ai nastri di partenza della campagna elettorale per le comunali. E di cosa si parla ossessivamente in questi primi giorni di scontri e battibecchi? Di rom. Comunicati stampa, proclami, blitz. Ieri Matteo Salvini ha fatto visita all’insediamento di via Salviati, il giorno prima Guido Bertolaso e Giorgia Meloni si sono addirittura improvvisati vigili urbani, sbaraccando personalmente la merce in un mercatino della Montagnola. Pure Alfio Marchini ha centrato il suo messaggio sulla sicurezza intorno alla questione rom (“Togliere l’acqua a chi viene qui per delinquere”, ha spiegato, sebbene molti rom non “vengano” da nessuna parte essendo tanti di loro cittadini italiani). Si esprimono anche i candidati alle primarie del Pd (“Studiamo come superare i campi”, propone Giachetti). A giudicare dall’impegno, per la politica non sembrano sussistere dubbi su quale sia il grande problema di Roma: i rom.
Naturalmente è sacrosanto che i candidati sindaci abbiano idee su come affrontare il tema: i campi rom sono una realtà da archiviare e la convivenza in molti quartieri periferici è un problema reale, segnato da fenomeni di criminalità e di regole calpestate. Ma è evidente che una politica seria dovrebbe porre la questione in termini di soluzioni concrete. Invece non c’è candidato, specie a destra, che spieghi quale strategia mettere in campo dopo la fase delle “ruspe”, forse perché oltre a non essercene alcuna, di strategia, piace soprattutto l’idea di lasciare a qualche elettore la suggestione che la ruspa spazzerà via insieme baracche e baraccati.
Dunque rom, rom, rom. C’è del razzismo in questa insistenza? Forse. Ma non è nemmeno questo il vero motore della comunicazione di queste ore. Il vero motore sta nell’impreparazione, nella sciatteria, nella pigra malafede con cui è partita la corsa al Campidoglio di quasi tutte le forze politiche. Le quali, dopo tutto ciò che è accaduto in città e dopo due giunte fallite miseramente, avrebbero dovuto impegnare le migliori intelligenze a preparare con cura e puntiglio l’offerta politica per i cittadini romani, selezionando per tempo candidati, squadre, programmi. È successo l’inverso.
La scelta delle candidature è stata un’affannosa rincorsa di ceto politico riluttante, di vecchie glorie non troppo gloriose. Il candidato “ufficiale” del Pd, Giachetti, fino a poche ore prima della scesa in campo giurava (sinceramente, c’è da scommettere) di non avere alcuna voglia. «Il programma lo scriveremo dopo le primarie», ha comunicato qualche giorno fa il suo staff. Non deve esserci stato tempo. Dall’altra parte, si è aperto un casting che ha toccato vette grottesche quando Fratelli d’Italia ha avanzato l’ipotesi Rita Dalla Chiesa. A destra e sinistra delle forze principali hanno preso corpo candidature – Storace e area Marino, per capirsi – che nascono per azzoppare la controparte più che proporre un’idea di amministrazione. Marchini e 5 Stelle hanno tenuto un percorso più lineare ma sono ancora distanti dal dimostrare che la loro idea assoluta di civismo può trasformarsi in un governo credibile della metropoli.
In questo deserto di classe dirigente, in questo vuoto di studio e di proposte, non resta che cavarsela con qualche numero di repertorio, come quei vecchi artisti di avanspettacolo che si rifugiavano nel cavallo di battaglia davanti ai primi mugugni del pubblico. E il cavallo di battaglia, a Roma, oggi sono i rom. Il disperato tentativo di surrogare la mancanza di consenso con qualche rumorosa piazzata, di mascherare la scarsa credibilità inseguendo un effimero, e un po’ miserabile, unanimismo di giornata.