la Repubblica, 25 febbraio 2016
Consumiamo di meno perché abbiamo già troppo. Un’analisi poco economica ma molto di buon senso
Dati diffusi ieri dicono che a fronte di un sensibile aumento del risparmio (4 per cento) i consumi degli italiani sono aumentati solo di pochi decimali. Se ne traggono desolate considerazioni sulla persistenza della crisi. Non essendo un economista, e dunque potendo parlare della questione con assoluta spensieratezza, avanzo l’ipotesi che NON ci sia più una relazione “meccanica” tra denaro disponibile e consumi. Una quota indefinibile di persone (probabilmente una minoranza: comunque molto consistente), avendo già raggiunto un decente livello di benessere, ha bisogno (o ha deciso) di comperare un po’ di meno rispetto a prima. Se ne discute da anni, ma il concetto di sazietà, a qualunque livello di soddisfazione dei bisogni lo si voglia collocare, non è contemplato da alcuna analisi economica o politica. Si dà per scontato che il desiderio di possedere cose sia in costante e perenne ascesa, una specie di vocazione naturale dell’essere umano, e al tempo stesso un implicito obbligo sociale. La politica è inchiodata a quel paradigma; non ne contempla altri, e per questo deperisce; l’Amaca se ne lamenta, nel suo piccolissimo, da tempo immemorabile, come i lettori sanno. Eventuali ripetizioni di questa piccola litania (non si può essere costretti a consumare sempre di più, e in eterno) sono conseguenza della costante ripetizione della litania opposta: o consumate sempre di più o il mondo va in rovina.