Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  febbraio 25 Giovedì calendario

Renzi che va alle sfilate di moda ricorda molto Craxi

In principio fu Craxi. Oggi suona incredibile, ma prima di lui gli stilisti si chiamavano «sarti», e i potenti democristiani in perenne grisaglia, diffidenti com’erano timorosi di ogni eleganza, si tenevano ben lontani dal frivolo e peccaminoso mondo della moda.
Così, alla metà dei ruggenti anni ’80, il leader del garofano ebbe non solo l’intuizione, ma anche campo libero nel riconoscere, legittimare, esaltare e indicare gli stilisti come prestigiosi modelli di un nuovo ceto creativo e produttivo che faceva onore al made in Italy.
Se si vuole – e quindi con le necessarie riserve dinanzi ai confronti storici sempre un po’ forzati o approssimativi – è comunque questo un altro filo che a distanza di trent’anni lega Craxi a Matteo Renzi.
Ieri, a Milano, per la prima volta il presidente del Consiglio ha aperto la Settimana della Moda. Renzi ha incontrato protagonisti di quel mondo ricco e complesso, da Giorgio Armani a Lapo Elkann; si è mostrato alle telecamere attorniato da graziose e maestose celebrità.
Il Renzi di sempre, leader in camicia bianca (slim fit Scervino o, secondo un’altra lectio, Gavazzeni); l’ex sindaco fashion che Dagospia chiama «Pitti Bimbo» per via delle sfilate nella sua città; il leader brand che nel suo discorso d’investitura trovò il modo di segnalare la rinascita dei piumini Moncler come segno di riconquistata e strategica italianità.
Ciò detto, ai tempi di Craxi la scoperta della moda da parte del potere aprì una stagione niente affatto scontata, e non solo perché lui per primo rigettò i canoni dell’eleganza ufficiale facendosi vedere – e dovutamente ritrarre dal suo fotografo personale Umberto Cicconi – in blu jeans e sahariana, giubbotti sportivi e singolari copricapo.
In realtà, dietro l’abbigliamento casual, c’era un orientamento a suo modo culturale e una serie di frequentazioni che in un modo o nell’altro portarono Armani, Versace, Krizia, Missoni nell’area del nuovo corso socialista. Moschino ed Helietta Caracciolo si cimentarono sul tema del garofano. Alcuni stilisti entrarono anche nell’Assemblea nazionale, quella dei «nani e delle ballerine». Ma lo stilista più craxiano e amico di tutti fu Nicola Trussardi, che progettò per Bettino uno speciale paio di occhiali e diede il suo cognome alle hostess – dette «trussardine» – di almeno un paio di congressi. Da presidente Craxi se lo portò perfino in Somalia, dove fra le tante iniziative (acciaierie, cementifici, piano zooagricolo) si pensò di affidare alla linea del levriero una linea di profumi e cosmetici e vabbè.
C’è da dire che durante e dopo la caduta della Prima Repubblica molti stilisti voltarono convenientemente le spalle al loro scopritore e garante; e che da allora il potere prese le distanze – forse anche perché gli stilisti ne avevano ormai meno bisogno. Un sondaggio di Ms-fashion decretò che Di Pietro era il politico vestito peggio (Casini il meglio); Prodi aveva altre priorità; D’Alema si dedicò piuttosto ai cuochi – da allora «chef».
Qualche apertura di credito venne al comparto dal presidente Ciampi, dalla ministra Giovanna Melandri (si ricorda l’appello contro la taglia 38). A un livello senz’altro più basso, anzi ai limiti dell’obbrobrio, deputati maschi e femmine s’improvvisarono modelli e modelle con la pretestuosa, ma vanitosa aggravante della beneficenza.
Nel gennaio del 2004, l’allora presidente Berlusconi – anche lui una prima volta – aprì la Sala degli Arazzi di Palazzo Chigi a una sfilata di moda. Ma forse era troppo auto-centrato per riscuotere l’approvazione dei personaggi in vista.
Dopo la performance, mostrò dunque il suo fresco lifting e cantò le lodi del chirurgo; diede conto della sua dieta aggiungendo di aver perso la bellezza di 11 chili; quindi rese note al prestigioso uditorio le virtù del gelato tricolore, di sua invenzione, il «Silvio’s ice cream», di cui era ghiotto George W. Bush.
Come ovvio, fece anche il galante con le indossatrici: «Gli occhi ringraziano». L’indomani si seppe che aveva fatto il galletto con la stilista polacca Ewa Minge: «Lasci il numero di telefono, così se divorzia la chiamo».