la Repubblica, 25 febbraio 2016
I rischi di fare causa all’America
Nella delicatissima partita che si è aperta tra Roma e Washington sulle attività di intelligence “non convenzionale” condotte dalla Nsa tra il 2010 e il 2011 sull’allora Presidente del consiglio Silvio Berlusconi, alcuni dei suoi consiglieri chiave e la nostra rappresentanza diplomatica presso la Nato, c’è una verità disarmante che aiuta a comprendere, in queste ore, le mosse in chiaro dei due Paesi. Dunque, le parole del ministro Boschi in Parlamento, piuttosto che quelle del Dipartimento di Stato. Nonché, la generica richiesta di “tempo” con cui l’ambasciatore John Phillips si è congedato martedì pomeriggio dalla Farnesina. E la verità – come confermano a Repubblica tre diverse fonti qualificate di intelligence impegnate nella crisi, due di parte italiana, una americana – è questa. La National Security Agency (e con lei il Dipartimento di Stato e la Casa Bianca) non è ancora in grado, a distanza di tre anni, di sapere con certezza quanti e quali dati sensibili siano stati sottratti da Eric Snowden. Detta altrimenti, nessuno, in questo momento, sa cosa contenga ancora la parte del suo archivio ancora non svelata. E questo, dunque, impedisce a Washington di impegnarsi una volta per tutte con l’alleato rispondendo a domande semplici che richiedono risposte altrettanto semplici: di quante intercettazioni è stato bersaglio il Presidente del Consiglio italiano e il suo entourage tra il 2010 e il 2011? Attraverso quali strumenti è avvenuta la “captazione”? Per quali motivi nelle stringhe di “ricerca” della Nsa figurano almeno nel caso di Valentino Valentini, dell’ex consigliere per la sicurezza nazionale Bruno Archi e dell’ambasciatore Marco Carnelos utenze telefoniche cellulari?
Una fonte della nostra Intelligence la dice dritta: «La Nsa non può dirci qualcosa che potrebbe essere smentito un minuto dopo da nuove rivelazioni. Ma non può neanche spingersi a dire qualcosa che magari nell’archivio di Snowden non c’è e che, dal loro punto di vista, sarebbe inopportuno dire». Non fosse altro perché, a rendere ancora più complicata la partita, è la difficoltà di ricostruire a posteriori una parte circoscritta di dati tra i milioni elaborati dagli infernali algoritmi che governano la “pesca a strascico” dei metadati (telefonate comprese) da parte dell’Agenzia. Nell’estate del 2013, alla delegazione del nostro Dipartimento delle Informazioni e la Sicurezza venne infatti spiegato, proprio nella sede della Nsa, che i motori di ricerca lavorano per “tag”. Non necessariamente persone fisiche, ma, il più delle volte, “parole chiave”. Talvolta associate a utenze telefoniche. Talvolta no.
Dunque? Palazzo Chigi scommette che la faccenda sarà lunga. Dice una fonte di governo: «È ragionevole immaginare che le spiegazioni tecniche che arriveranno da Washington saranno parziali e ci verranno date un po’ alla volta». E anche per questo nelle parole di ieri del ministro Boschi, il nostro governo ha scelto di tracciare un orizzonte dove la nettezza del giudizio politico su quanto emerso dall’archivio di Snowden («Sarebbe chiaramente per noi inaccettabile immaginare un’attività intercettiva nei confronti di un Governo alleato») si combina a una clausola di “salvaguardia” che lascia a Washington una via di uscita (gli «ulteriori approfondimenti attraverso i canali tecnici di collaborazione anche con gli Stati Uniti»). Non fosse altro perché il caso Nsa-Berlusconi deflagra nel contesto della crisi libica e della fragile tregua siriana in cui Palazzo Chigi non può correre il rischio non solo di rompere, ma anche soltanto incrinare il rapporto con la Casa Bianca.
Del resto, è ancora una nostra qualificata fonte di Intelligence a fotografare con franchezza lo stato dell’arte. «Siamo nel pieno di una crisi internazionale che ha come epicentro il Mediterraneo e come nuovo virulento focolaio la Libia. E abbiamo con entrambi i key players della partita, Usa ed Egitto, due complicati contenziosi, Wikileaks e Regeni, che se non vengono gestiti in modo intelligente e responsabile rischiano di isolarci. Ed è un lusso che non possiamo permetterci».
Tenere insieme le ragioni dell’orgoglio e della difesa della sovranità nazionale con i venti di guerra che arrivano dalla Cirenaica e dalla Tripolitania non è una faccenda semplice. E anche questo spiega il lavoro di diplomazia con cui, nelle ultime ventiquattro ore, il sottosegretario con delega alla sicurezza nazionale, Marco Minniti, ha raffreddato la furia di Forza Italia chiedendo uno sforzo bipartisan nella «gestione responsabile» del rapporto con Washington sulla vicenda Wikileaks. Invito che Minniti tornerà a fare oggi nelle sue comunicazioni al Copasir e che Renato Brunetta ha accolto nella sua replica alle comunicazioni della Boschi («Signor Ministro. La stupirò, sono soddisfatto. Avete fatto quel che si doveva fare»).