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 2016  febbraio 25 Giovedì calendario

Consigli da Trapattoni per fregare i tedeschi

Per capire certe partite ci devi essere passato su quelle panchine. Roba per pochi. Anzi per uno solo: Giovanni Trapattoni. Ha vinto di qua e di là. Torino e Monaco. Senza contare il resto. «Juve-Bayern è una finale anticipata. Uno spreco vederne uscire una adesso».
Per i bianconeri sarà dura.
«Pur soffrendo i tedeschi noi italiani li abbiamo fregati tante volte. La Juve i giocatori per l’impresa ce li ha. E quanto a strategia e tattica. Ma non è solo questo».
E cos’altro?
«Io i tedeschi li conosco. Lo sciovinismo è mica nato adesso. Ricordo prima delle partite importanti quando allenavo il Bayern. Negli spogliatoio dicevo: state attenti che quelli là ci fanno male. E i miei giocatori: ja, ma noi più bravi. E si battevano la mano sul petto».
Il Guardiola presuntuoso di questi giorni però è spagnolo.
«Deve anche recitare. Fare qualche dichiarazione politica. Se non fa un po’ lo spavaldo i tedeschi pensano che sia debole. È entrato bene nella parte».
I bianconeri sono impegnati anche nella corsa scudetto. Al quinto anno, magari, ti viene meno fame. Il Napoli sembra più motivato.
«La Juve ha qualcosa in più. Ce l’hanno nel dna di lottare per vincere. In più Torino è isolata, lontana dalle tensioni e protetta. Napoli è la città del Vesuvio, troppo entusiasmo può far male».
Questo il presente. Il passato è anche in una biografia che già nel titolo «Non dire gatto» dice tanto del Trap. Per esempio c’è scritto che quando arrivò Platini alla Juve, c’erano più musi lunghi che champagne.
Quando me l’hanno proposto ho pensato: cosa mai è venuto di buono dalla Francia nel calcio? Platini, intanto, si era accordato con il Psg. Il presidente era Lagardère, proprietario della Matra, automobili. Agnelli mi dice: ci penso io. Così Michel viene da noi e ci cambia la squadra. I miei lo chiamavano “il francese” e lo snobbavano. Lui neanche un plissé. Poi li ha conquistati tutti.
La storia racconta che, un giorno, il Trap cancellò Pelè.
«Gli stavo così addosso che i suoi compagni lo vedevano marcato e non gli passavano la palla. Non era mica merito mio. Ho giocato con Pelè, Eusebio, Cruijff. Loro erano le stelle, io la scia della cometa».
Con Crujiff la palla non l’ha mai vista...
«L’avevamo preso alla leggera. Era il 1969, finale di Coppa dei Campioni a Madrid. L’Ajax, cos’è, scherzavamo: un detersivo, come lo Spic & Span? Vittoria facile per noi, 4-1. Rivera e Prati da prima pagina. Io? Che fatica star dietro a Cruijff. Si capiva che sarebbe diventato qualcuno.
Un fuoriclasse.Come ne ha incontrati una sfilza infinita. Il più bravo?
«Tutti quelli con la “C”. Che non vuol dire solo campione, ma anche e soprattutto, cuore. Scirea, per esempio. Lui era un’altra cosa. Fai fallo qualche volta, gli urlavo. E lui: mister non ci riesco. Poteva diventare un grande allenatore. Oggi lo rivedo in Messi. Stessa umiltà, stesso spessore morale. Classe identica».
La stessa del Trap. Un uomo che è rimasto amico di Gianni Crimella, lo scopritore di Scirea e se vede dopo sessant’anni un ex compagno di squadra, Sebino Drago, è capace di lasciare il palco per andare ad abbracciarlo.
L’invettiva in tedesco contro Strunz è ancora una delle più cliccate su Internet.
«Povero Thomas, lui non c’entrava. È che me la menavano i giornalisti tedeschi. E perché non lo fai giocare? E su e giù. Allora ho fatto quella sparata. Ma mica poteva immaginare che facesse il giro del mondo. Poi aveva quel cognome…».
Una vita nel calcio. Quante amicizie sono rimaste?
«Poche. L’amicizia vera non si inventa. Tra calciatori non è facile. Ma i legami restano. Tardelli, per esempio, è diventato il mio vice».
E fuori dal pallone?
«Il dottor Monti. Ginko, come il poliziotto di Diabolik. Che poi era il medico del Milan. Sapete com’è nata? Mio padre era morto di infarto. Avevo il terrore di soffrire dello stesso male. Quando un medico mi disse che il mio cuore saltava mi prendeva l’ansia ogni volta che mi mancava il fiato. Monti sdrammatizzava. Ci scherzava su. Mi ha salvato. Gli ho fatto scoprire Talamone, in Toscana. Ci andiamo in vacanza da una vita».
Famiglia contadina, una zia suora, l’acqua benedetta. Un filo diretto con il Cielo.
«Sono credente. Ascolto quello che dice papa Francesco. E lo capisco. Il mio Sudamerica è quello dei Mondiali in Cile del ’62, della finale di Coppa Intercontinentale col Santos un anno dopo. Le tournée in Argentina. Vedevo le città e attorno la miseria. Le case tenute su con gli spaghi. La miseria. La fame. Il Papa viene da lì, non può dimenticare. E chiede più uguaglianza e giustizia sociale.
Tornare ad allenare?
«Anche domani mattina».