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 2016  febbraio 25 Giovedì calendario

Salvini dice di avere il nome giusto per Roma. E per ora lo tiene per sé

«Un nome alternativo a Bertolaso ce l’ho. Un romano. Un romano qualunque, normale. Ascoltiamoli, i romani, e vediamo se coincide l’idea». Matteo Salvini è a Roma e non è un caso. C’è da fare una visita elettorale a un campo rom, fare slalom tra lavatrici, carrozzine sfasciate e bimbi con i piedi neri. Denunciare «l’emergenza» e proclamare la necessità di «chiudere subito i campi», stavolta senza citare le ruspe e con toni morbidi, visti i presenti. Ma soprattutto c’è da mettere la bandierina sulla città più odiata di sempre dai leghisti, improvvisamente diventata centrale nella strategia del Carroccio.  Tanto da diventare teatro dei celebri gazebo padani (anche se in realtà saranno tavolini): nel weekend si vota in 40 banchetti. I romani salviniani sceglieranno tra cinque nomi per il candidato al Campidoglio: Bertolaso, Marchini, Pivetti, Rampelli e Storace. Più uno spazio bianco. Un esperimento nuovo, che è un modo per provare a sbalzare dal ruolo di candidato Bertolaso, mandando all’aria i piani di Giorgia Meloni e del centro, e un modo per mischiare le carte. Perché ci sono città in sofferenza: a Novara il candidato leghista Alessandro Canelli viene contestato dai forzisti, che invece a Torino vorrebbero imporre il loro Osvaldo Napoli. La Meloni sbuffa: «Da Salvini vorrei più lealtà. La mia candidatura? Un’extrema ratio». 
Ma è anche un’ambizione più grande quella che spinge Salvini a Roma. La stessa che ha portato il Carroccio fuori dalla ridotta padana. La trasformazione da movimento localistico a partito nazionale e lepenista comporta un cambio di rotta negli argomenti da usare e negli elettori da raggiungere. Tanta acqua è passata da quando Umberto Bossi prese in affitto un bilocale, nel 1987, in vicolo della Palomba, condividendolo con un senatore del Partito sardo d’azione. Da quando gli slogan erano: «Più lontani da Roma, più vicini a te». «Mai più mezza lira agli stronzi romani». «La Roma dei porci ha spogliato il Nord». L’allora sindaco Francesco Rutelli querelò (perdendo). 
Ora Salvini se la prende con il prefetto Franco Gabrielli, secondo il quale Roma non avrebbe bisogno di «farmaci nordici»: «Gabrielli ha fallito totalmente. Sia licenziato e cambi lavoro». Il candidato alle primarie del Pd Roberto Morassut lo incalza: «Meno Salvini si fa vedere, meno parla, meglio è per questa città». Eppure Salvini c’è e non da ora. È vero che la Lega a Roma ancora non ha una sede (una vera non ce l’ha mai avuta, solo un esperimento fallito, con una redazione romana della Padania ). Ma è anche vero che una volta alla settimana il «Capitano» è qui. A parlare con Gianmario Centinaio, capogruppo della Lega al Senato e leader del coordinamento «Roma con Salvini». Lunedì alle 13, Salvini tornerà a Roma, per annunciare i risultati dei banchetti. Il 15 marzo è prevista una sua partecipazione alla gita italiana di Marion Le Pen che sarà a Milano e poi Roma. 
«Salvini odia Roma», diceva nei giorni scorsi Bertolaso. Può darsi, ma quel che è certo è che non lo dà più a vedere. Certe dichiarazioni, come il suo recente endorsement a Totti – «sto con lui, è la bandiera di Roma» – non sono casuali. E già riuscire a portare la campagna elettorale romana sui suoi temi è un successo. I candidati arrancano o lo seguono. Come Bertolaso e la Meloni, che sono andati in via Ardeatina a strigliare gli ambulanti di un mercatino abusivo rom. O come Morassut, che lo attacca frontalmente. Altri fanno la loro corsa. Come Roberto Giachetti, che sornione aspetta e coltiva un elettorato diverso. Martedì sera era all’Atlantico, al concerto di due amatissimi dai giovani romani, i Cani e Calcutta. Tra una birra e l’altra, concedeva selfie: «Salvini? Non mi interessa».