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 2016  febbraio 24 Mercoledì calendario

Il bio è in crisi. Costa troppo

Il consumo preferenziale del cibo «organico» è spesso una prox (una sorta di rappresentazione) delle vedute politiche del consumatore. Fino a qualche decennio fa era associato a posizioni conservatrici, ma (come nel caso dell’ambientalismo, una volta «conservazionismo») dagli anni 60 in poi la pratica è migrata con una certa velocità da una parte dello spettro politico all’altra.
In entrambi i casi era comunque associata a una forte critica del mondo moderno, troppo caratterizzato dall’industrializzazione, dal consumo di massa e più in generale dallo scientismo impersonale, i cui eccessi (le armi nucleari, l’inquinamento, il degrado urbano, l’uso dei coloranti artificiali e così via) non promettevano niente di buono per il futuro.
Indipendentemente dalla precisa collocazione politica, l’abbraccio al mangiare «naturale» era un tentativo di ricatturare un passato ideale e più «puro» una visione profondamente romantica del mondo e del potenziale umano.

Ora, dopo mezzo secolo, la pratica pare in declino, vittima della perdurante crisi economica e forse anche della stanchezza. I dati sono chiari. Dopo il crac della Lehman Brothers nel 2008 (l’inizio convenzionale della crisi) è andato in picchiata anche il mercato del cibo bio. Nel Regno Unito la vendita del pane organico è crollato del 31% nel solo anno tra il 2008 e il 2009, la frutta organica del 16,5%. Secondo la Soil association 2015 organic market report, solo l’anno scorso i ricavi del settore in Inghilterra sono finalmente tornati ai livelli di quelli del già disastrato 2009. In alcuni paesi dall’economia più florida, gli Usa per esempio, c’è stato negli ultimi due anni un limitato risveglio, secondo la Nielsen, più 7% nel biennio, ma con caratteristiche nuove.
Le riassume un titolo del Financial Times: «Organic farming in decline despite rising sales» (L’agricoltura organica in declino malgrado l’aumento delle vendite). In altre parole, i consumatori anglosassoni sono ancora disposti ad acquistare l’organico (specialmente il latte e la frutta e verdura fresche) ma solo a una sostanziale parità di prezzo rispetto ai prodotti convenzionali. Per gli operatori dell’organico, i margini sono scomparsi. Così, mentre i ricavi del settore un po’ si riprendono, i produttori sono in profonda crisi.
Nell’Europa continentale invece il declino dei consumi organici prosegue, meno 2% l’anno scorso secondo la Nielsen, malgrado qualche segnale di una fragile ripresa dell’economia generale. Sono cifre lontane anni luce dalle crescite superiori al 20% annuo degli inizi di questo secolo. Ha importanza tutto ciò? Si tratta, in fin dei conti, di un fatto di costume, per quanto di uno importante dal punto di vista commerciale. Però, la preferenza per il naturale è spesso associata nella mentalità occidentale a molti altri temi socialmente e politicamente significativi: al tema del cambiamento climatico, alla liberalizzazione del matrimonio e delle droghe leggere, all’antimilitarismo e così via.
Per molti di questi temi non possiamo misurare obiettivamente la disaffezione del pubblico, se c’è, ma nella preferenza per il mangiare naturale sì. Sentiremo la mancanza di quel mondo: non, forse, della dieta paleolitica o del cappuccino con il latte di capra, ma della visione più dolce e tenera che rappresentavano.