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 2016  febbraio 24 Mercoledì calendario

Ecco perché Londra guarda a Francoforte

In mercati finanziari giganteschi, anche le società borsistiche non possono far altro che diventare sempre più grandi. Se la Borsa di Londra guarda a quella di Francoforte con interesse, è perché quest’ultima detiene il più importante mercato dei derivati in Europa: Eurex. 
Se Deutsche Börse guarda a Londra con altrettanto interesse, è perché quella inglese è la più grande piazza finanziaria del Vecchio continente e ha una forte presenza sui titoli di Stato. Due pesi massimi, insieme, diventano ancora più pesanti. Per competere. Per aumentare i loro profitti. Per vincere nell’arena degli immensi mercati finanziari. Ma di fronte a questa gara a conquistare quote di mercato, bisogna porsi una domanda: tutto questo giova all’economia reale? A quella che dovrebbe, in teoria, trovare nei mercati finanziari un volàno per crescere sana?
Prima di cercare risposte, bisogna essere consapevoli delle grandezze in gioco. Il mercato dei derivati vale, nel mondo, 553mila miliardi di dollari secondo i dati della Bri. I mercati azionari capitalizzano 58mila miliardi di dollari. Quelli obbligazionari, sempre secondo la Bri, ammontano a 86mila miliardi di dollari. Mettendo questi numeri insieme (e stiamo dimenticando le valute), si arriva a 697mila miliardi di dollari: 9 volte più del prodotto interno lordo del mondo intero. È vero che i derivati sono calcolati al lordo, e questo gonfia il numero, ma il punto resta: si tratta di mercati enormi, giganteschi, molto più grossi di quell’economia reale di cui dovrebbero essere emanazione. Per questo i mercati finanziari da anni determinano nel bene e nel male le sorti dell’economia, della politica, delle imprese e della gente. Perché sono troppo grossi. E, pur essendo globali, restano regolati da normative nazionali e vigilati da Autorità locali, nonostante il coordinamento internazionale. 
Torniamo dunque alla domanda iniziale: le fusioni tra le società che gestiscono le Borse possono aiutare il mondo reale? Da un lato sì: perché Borse più grandi avvicinano in teoria alle imprese un numero sempre maggiore di investitori, dunque di capitali. Questo permette alle aziende di avere accesso a potenziali fondi in più per investire e per crescere. Ma questi benefici (ammesso che effettivamente si concretizzino) sono minimi rispetto ai danni che mercati isterici e volatili possono fare sull’economia reale. Quello che servirebbe, dunque, non è solo l’aggregazione tra le Borse, ma soprattutto una vera “fusione” tra le normative e le autorità di vigilanza. Perché l’obiettivo non dovrebbe essere solo quello di creare campioni borsistici, ma di riportare i mercati finanziari al servizio delle imprese.
L’Unione dei mercati dei capitali (la Capital Markets Union della Commissione Ue) cerca di andare proprio in questa direzione. Ma, per via del veto di quella stessa Gran Bretagna che ora dall’Unione prova a uscire, non è stato possibile andare fino in fondo: creare cioè un’Autorità di vigilanza unica europea. Un soggetto comunitario che svolga sui mercati lo stesso ruolo di supervisione che oggi la Bce svolge sulle banche. Questa mancanza probabilmente vale più (in negativo) di quanto possa offrire (in positivo) l’aggregazione di due Borse. Affinché la finanza torni ad essere davvero il volàno dell’economia, serve dunque di più: perché se oggi esiste un rischio sistemico nel mondo, non va probabilmente cercato nel sistema bancario ma in quello finanziario.