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 2016  febbraio 24 Mercoledì calendario

Quel mezzo milione di malati invisibili che hanno patologie così rare che non vengono riconosciute

Centinaia di migliaia di pazienti in Italia di fatto “invisibili” agli occhi del sistema sanitario nazionale. E un rapporto con ministero della Salute e governo Renzi che, dopo due anni di promesse non rispettate, già nei prossimi giorni potrebbe esplodere in una denuncia nei confronti della presidenza del Consiglio e della Conferenza Stato-Regioni. È il quadro in cui i pazienti affetti da malattie rare, definite in Europa come quelle che colpiscono non più di 5 persone ogni 10 mila, si apprestano ad affrontare la nona Giornata mondiale dedicata a queste patologie, in programma lunedì 29 febbraio. Nonostante il piano nazionale 2013-2016, varato nell’ottobre 2014 (sic...) dal ministero guidato da Beatrice Lorenzin, oggi molti malati affetti da queste patologie che lo stesso ministero definisce «complesse, gravi, degenerative e cronicamente invalidanti» sono di fatto ridotti a essere per l’appunto invisibili.
Per avere un’idea di quanto il quadro di riferimento ufficiale sia distante dalla realtà, basta guardare i numeri. I malati ufficialmente censiti dal Registro nazionale, istituito presso l’Istituto superiore di Sanità a partire dal 2001, sono 111mila. Quelli realmente esistenti in Italia, secondo il Rapporto sulla condizione delle persone con malattia rara pubblicato da Uniamo, la federazione che raccoglie oltre 100 associazioni di malati rari e familiari, sono invece almeno 670 mila.
Ma enorme è anche la distanza tra l’elenco della patologie attualmente riconosciute dal ministero della Salute, per le quali i pazienti possono sperare di usufruire dell’esenzione dal ticket per le prestazioni mediche o della fornitura gratuita di dispositivi e protesi, e quelle realmente esistenti. Se la classificazione ufficiale, rimasta ferma al 2001, garantisce la tutela a 284 patologie e 47 gruppi di malattie rare, «negli ultimi 15 anni la ricerca scientifica ha portato all’individuazione di almeno altre 100 patologie che al momento non sono riconosciute», spiega il presidente di Uniamo, Nicola Spinelli Casacchia. Risultato di tutto è una risposta che lo stesso ministero della Salute ammette essere inadeguata. «Si può stimare che la prevalenza dei malati rari complessivamente considerati sia dal 50 al 100% superiore a quella stimata» attraverso il solo elenco delle malattie riconosciute, conferma il ministero nelle premesse al Piano per le malattie rare. Si stima che circa la metà dei 670mila pazienti affetti da malattie rare soffra di una patologia attualmente non presente nella classificazione ufficiale. E le conseguenze sono tutt’altro che irrilevanti. Tanto più che «circa un terzo delle malattie rare riduce le attese di vita a meno di 5 anni».
Eppure, perché il diritto costituzionale alla tutela della salute fosse riconosciuto a tutti, basterebbe applicare norme che già esistono. Invece «finora con il governo Renzi è rimasto tutto lettera morta», spiega il presidente di Uniamo. Dal Piano nazionale malattie rare, «un documento strategico voluto anche dall’Unione Europea per sviluppare una strategia condivisa, all’aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) che prevede l’inserimento di oltre 100 nuove malattie rare, fino alla costituzione di una cabina di regia che segua lo sviluppo delle Rete nazionale malattie rare». Tra gli scandali più grandi, quello del Nomenclatore tariffario. «Per legge questo documento, che stabilisce tipo e modalità di fornitura di protesi e ausili a carico del servizio sanitario nazionale, dovrebbe essere aggiornato ogni tre anni» spiega Marco Cappato, dell’Associazione Luca Coscioni. Invece «non viene aggiornato dal 1999, con la conseguenza che i pazienti possono scegliere solo tra strumenti vecchi di diciassette anni». Come se nel frattempo non ci fosse stata alcuna innovazione in termini di materiali e ausili. «Noi su questo abbiamo già fatto una diffida al governo: se a marzo non ci sarà stato un aggiornamento del Nomenclatore, denunceremo il governo e la Conferenza Stato-Regioni» annuncia Cappato. «In questo caso, infatti, collegato alla prestazione sanitaria c’è il diritto costituzionale non solo alla salute, ma anche alla libertà di espressione, perché se non ho l’ausilio magari non sono nemmeno in grado di parlare e di esprimermi». Poi è vero, ci sono Regioni più virtuose, nelle quali l’organizzazione del sistema sanitario garantisce buoni livelli di assistenza, rimborsando anche le protesi e gli ausili non previsti dal Nomenclatore. Ma la latitanza del governo fa sì che non tutti i malati in Italia abbiano gli stessi diritti. Con conseguenze particolarmente gravi nelle otto regioni sottoposte al Piano di rientro dal disavanzo della spesa sanitaria (Abruzzo, Campania, Lazio, Molise, Sicilia, Calabria, Piemonte e Puglia), dove «le capacità di assistenza sulle malattie rare, già non straordinarie, subiscono ulteriori restrizioni», spiega Spinelli Casacchia.
Nel frattempo, anche i malati rari devono fare i conti con gli aumenti dei ticket per le prestazioni sanitarie e l’allungamento delle liste di attesa nella sanità pubblica, frutto dei tagli alle Regioni e della riduzione, rispetto a quanto previsto, delle risorse destinate al Fondo sanitario nazionale. E poi c’è la tegola del Decreto per l’appropriatezza prescrittiva. «Ci sono farmaci che si sono rivelati molto utili al di fuori delle loro indicazioni, e il cui utilizzo off-label (non conforme a quello per cui il prodotto è autorizzato, ndr) ha dato risultati importanti per patologie complesse come quelle di cui stiamo parlando» spiega Spinelli Casacchia. «La criminalizzazione di questo tipo di utilizzo rischia di privare i pazienti del diritto all’esenzione», già non riconosciuto in tutte le Regioni, «mentre la stretta sugli esami rende più difficile, talvolta quasi impossibile, la diagnosi».