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 2016  febbraio 24 Mercoledì calendario

Gianni Infantino, il ragazzo che puliva i vagoni dei treni e l’uomo che corre per la presidenza Fifa

 La lunga campagna elettorale di Gianni Infantino si è chiusa con un omaggio all’Africa, non casuale. A Robben Island ha visitato la cella di Nelson Mandela col candidato sudafricano Tokyo Sexwale, che in quella cella ha vissuto. Il ritorno in Svizzera dove è nato e cresciuto e dove dal 2009 lavora come segretario generale dell’Uefa, cioè come pilota del calcio europeo motore del calcio mondiale, è per l’avvocato italo- svizzero, 46 anni, la breve quiete prima della battaglia decisiva. Nella stretta finale c’è anche tanta Italia: non rappresenta solo il paese d’origine dei suoi genitori, emigrati negli anni Sessanta a Briga, appena oltre il confine di Domodossola. A Wembley, alla presentazione del manifesto, gli ha fatto da testimonial molta storia della serie A: Capello e Mourinho, Figo e Roberto Carlos, Seedorf e Toldo. Nel video dei sostenitori sfilavano Buffon, Gattuso, Materazzi, Zanetti e Nakata. “Gianni for president“, proclama sir Ferguson, icona del Manchester United. Ora che si è tolto l’etichetta di cerimoniere dei sorteggi in diretta tv, Infantino si vede artefice della trasparenza economica e del governo virtuoso. Rivela che un congresso Uefa costava 750 mila sterline, uno Fifa 20 volte tanto. Sorride, con l’immancabile pallone in mano. Il messaggio è chiarissimo: palla al centro, si riparte dal gioco.
Avvocato Infantino, da 42 anni, dai tempi di Artemio Franchi presidente Uefa e vice- presidente Fifa, non c’è un nome italiano al governo.
«Io sono orgoglioso delle mie radici. E onorato dell’appoggio della Figc».
Tutto cominciò alla stazione di Briga: non proprio un predestinato.
«Sono figlio di immigrati: papà di Reggio Calabria, mamma della Valcamonica. Lei aveva un chiosco per la vendita di giornali e cioccolata. Lui lavorava in ferrovia, nei vagoni letto. Sono cresciuto alla stazione: se volevo vedere i miei, dovevo andare lì. I treni sono stati fondamentali anche per i miei studi».
Cioè?
«Per pagarmeli, ho lavorato nelle carrozze letto e alla pulizia dei vagoni, oltre ad aiutare mia madre nel chiosco. Ho lavorato sodo, specializzandomi in diritto sportivo, secondo i loro valori: rispetto e dedizione assoluta. Ha funzionato quasi in tutto».
Quasi?
«Come calciatore non avevo talento. Dagli 11 anni mi sono dedicato a organizzare partite e tornei. Con alcuni amici fondammo la Folgore, squadra di italiani del cantone Vallese. A 18 anni la iscrissi al campionato. Fummo promossi alla penultima categoria: ci sentivamo campioni del mondo, come i miei primi idoli».
Gli azzurri dell’82?
«Da bambino, papà mi portava a San Siro. I miei eroi diventarono Altobelli e Beccalossi, poi i campioni di Spagna».
Anche Blatter viene dal Vallese, ma con l’Italia…
«Io parlo solo di me stesso. All’Uefa ho sempre rispettato tutte le federazioni, dalla più grande alla più piccola».
Fifa uguale scandali e corruzione: chi glielo fa fare?
«Il calcio conta troppo per troppe persone al mondo. È per loro che dobbiamo rialzarci».
Il suo slogan – restituire il calcio alla Fifa e la Fifa al calcio – non rischia di restare un gioco di parole?
«La sfida è enorme. Ma ho esperienza, visione a 360 gradi e non temo i cambiamenti. Voglio fare la differenza. Nessuno, ad esempio, combatte il calcioscommesse come l’Uefa».
Riformista, rivoluzionario o conservatore?
«Riformista, servono riforme. Ma anche uomo di azione. L’urgenza è ricostruire fiducia con riforme strutturali e culturali: un nuovo consiglio e un limite al mandato dei dirigenti, presidente incluso».
La trasparenza pare utopia, dato il groviglio di interessi sui Mondiali.
«No, se si pubblicano gli stipendi dei dirigenti, si nomina un supervisore e si impone il bando per ogni contratto commerciale».
La accusano di parlare con Platini, presidente Uefa sospeso.
«Ho sentito tutto e il contrario di tutto. Con lui continuo ad avere un ottimo rapporto. Il nostro fair-play finanziario rimane un successo: le perdite dei club sono diminuite da 1,7 miliardi a 300 milioni di euro in 2 anni. Ora una delle mie proposte chiave per la Fifa è la trasparenza dei flussi di cassa in entrata e in uscita».
Le critiche al Fifa legends team?
«Dimostrerà che il calcio cambia la vita in meglio. I fuoriclasse, in giro per il mondo, racconteranno ai ragazzi le proprie storie personali».
La tecnologia in campo?
«Giusto aprire il dibattito, ma va testato l’impatto sul gioco».
Il Mondiale a 40 squadre peggiorerebbe il livello.
«Al contrario. Permetterebbe a più federazioni di investire più risorse nella formazione e aumenterebbe l’incertezza delle qualificazioni, allargando la partecipazione al 19% delle federazioni».
Non finirà col ticket, Al Khalifa presidente e lei Ad?
«Nessun accordo tra noi, io sono in gara per vincere. Ho riscontri incoraggianti. Non sono il candidato dell’Europa, ma del calcio. Voglio un segretario generale non europeo e una rappresentanza diversificata, competente e qualificata, di tutte le confederazioni continentali».
Al Khalifa obietta sui 5 milioni di dollari alle federazioni più piccole.
«Non è affatto una mossa elettorale: più risorse ai paesi meno sviluppati. La missione della Fifa è la crescita del movimento: finanziandolo e trasmettendo conoscenze ed esperienze. Merita un plauso».
L’Eca, che riunisce i grandi club europei, appoggia lei, ma progetta una Superlega invece dei campionati.
«La Superlega esiste già: si chiama Champions League. Voglio una democrazia partecipativa. Il calcio ascolta, basta sapergli parlare».
Basta un poliglotta?
«Conoscere 6 lingue aiuta a dimostrare rispetto e a comunicare con tutti. Ho moglie libanese e 4 figlie. A casa parliamo inglese, francese, italiano e arabo. A Reggio solo italiano. Lì ho un piccolo appartamento e molti ricordi di mio padre. Conto di tornarci da presidente della Fifa».