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 2016  febbraio 24 Mercoledì calendario

Per le unioni civili non sarà previsto l’obbligo di fedeltà. Storia di un principio morale lontano dall’indole italiana

Fedeltà, addio. Non in tutta la morale comune e diffusa ma almeno nell’ordinamento che regolerà le coppie gay, quando si uniranno in virtù della futura legge Cirinnà. Così si diceva ieri a Palazzo Madama in attesa del maxiemendamento sul quale i senatori saranno chiamati a votare la fiducia. Nessun obbligo simile a quello previsto per il matrimonio.
Impossibile non pensare a Lucrezia, moglie di Collatino, costretta a cedere con le minacce alla libidine di Sesto Tarquinio, figlio del re Tarquinio il Superbo. Si suicidò per l’onta di quella infedeltà involontaria e subita, nonostante le suppliche del marito e del padre perché desistesse dal tremendo gesto: lo racconta nei dettagli, facendo della storia un magnifico romanzo, Andrea Carandini nel suo libro Rizzoli del 2011 Res publica. Come Bruto cacciò l’ultimo re di Roma. Da lì partì la cacciata dei Tarquini da Roma grazie al giuramento di Lucio Giunio Bruto, legato a Collatino dall’amicizia e dalla parentela. L’offesa alla sacralità del vincolo addirittura come motore politico, e storico.
Secondo i calcoli storici, Tarquinio il Superbo fu costretto a lasciare Roma nel 509 avanti Cristo. Da quella storia di lealtà coniugale sono passati 2.500 anni. E naturalmente si vedono tutti. La nostra terra italiana è luogo di passioni ardenti, culturalmente e storicamente attestate, ed è inutile star lì ad elencare nei secoli. Mozart, per ragionare sulla vaghezza della reciproca fedeltà in una coppia, ha ambientato a Napoli il suo Così fan tutte nel 1790, che poi è un così fan tutte/i, la costanza sentimentale che diventa scommessa, gioco.
Per arrivare ai nostri giorni, interi capitoli cinematografici della Commedia all’italiana sono fondati sul tradimento, sulla negazione del luogo comune (e legislativo) dell’obbligo alla fedeltà matrimoniale. Il Prototipo Massimo è Divorzio all’italiana di Pietro Germi, 1961, con Marcello Mastroianni e Stefania Sandrelli. Il manifesto del tradimento è, impossibile non ricordarlo, la scena finale: la splendida Angela-Stefania Sandrelli, neosposa del marito (uxoricida per amore di lei) Ferdinando-Marcello Mastroianni, carezza col suo piede quello del giovane timoniere che li sta portando al largo. E se la Commedia all’italiana è il termometro del cambiamento del nostro costume, significa che già nel 1961 le corna cominciavano a esulare dalla tragedia per affermarsi nella farsa. Indipendentemente dai sessi coinvolti.
Nel febbraio 2015 il britannico Independent ha analizzato i dati provenienti da Match.com e The Richest: in Italia il 45% degli adulti ammetterebbe (le inchieste demografiche sono fallaci) di aver avuto relazioni extraconiugali. I fattori sono tanti, tutti sociologicamente e psicologicamente analizzati. I tempi di permanenza fuori casa dei partner per lavoro, quindi la grande quantità di contatti umani che si producono oltre l’ex focolare. I mutamenti degli obiettivi (l’incertezza del posto di lavoro conta moltissimo). L’usura del rapporto per la cura dei figli. Il tramonto di una morale comune che vedeva nella coppia un caposaldo su cui costruire l’intera società.
Dunque, il concetto di fedeltà non solo si è modificato per sempre ma ormai appartiene all’ambito delle libere scelte piuttosto che dei vincoli morali, meno che mai legislativi. Il codice civile non impone (purtroppo) il Bello e il Buono. E così ora tocca alla fedeltà, è il caso di dirlo, tornare libera, felicemente sganciata dalle catene dei codici. Chissà come si sarebbe comportata Lucrezia, nel nostro tempestoso 2016.