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 2016  febbraio 24 Mercoledì calendario

Quei settantamila euro di risarcimento per danni morali che l’Italia deve pagare ad Abu Omar: «Il favore agli Usa, questa volta, è costato caro»

Abu Omar se ne sta in Egitto, ad Alessandria. Fuori da una cella. Bene attento a non dire parole di troppo. In Italia è passata in giudicato la sentenza che qualifica quest’egiziano di 53 anni come l’organizzatore di un’associazione terroristica internazionale. Ieri, a Strasburgo, però hanno vinto lui e le «carte» dei Diritti dell’Uomo.
C’è chi si stupisce perché la Corte europea in 81 pagine ha condannato severamente l’Italia per le torture subite da Abu Omar. S’invocano, specie da destra, ricorsi immediati. Ma come ignorare che la giurisprudenza internazionale va da tempo nella direzione sottolineata ieri? I fatti, eliminato il polverone, sono molto semplici. Eccoli.
Il 17 febbraio del 2003, Osama Mustafa Nasr, detto Abu Omar, si era ritrovato negli scomodi panni del «detenuto di alta importanza». Però senza processo: illegalmente dalla strada alla gabbia. Va chiarito un altro punto. L’extraordinary rendition, e cioè il trasferimento extragiudiziario, è una pratica che permette di trasportare velocemente un condannato o un indagato da uno Stato all’altro. Non è il caso di Abu Omar che, in una via di Milano, subisce un sequestro di persona. Gli agenti Cia e gli italiani che li aiutavano si sono comportati come la ‘ndrangheta: al di fuori della legge.
Terza questione: una volta in Egitto, la vita di Abu è stata all’insegna di elettroshock, due abusi sessuali, umiliazioni, mazzate, ferite. Nel loculo senz’acqua, luce e finestre dov’era, si fa per dire, custodito, non gli indicavano nemmeno la direzione della Mecca, per pregare. Insomma «la sentenza di Strasburgo dà ragione alle tesi della corte di Cassazione, che diceva che il segreto di Stato non può apporsi su condotte illegali, anche se dei servizi di sicurezza»: sono le parole di Armando Spataro, che con Ferdinando Pomarici ha tentato invano di processare alcuni nostri 007, a cominciare dal generale Niccolò Pollari, sentendosi opporre il «segreto di Stato».
Come sottolineano all’unanimità i giudici di Strasburgo, «il principio legittimo del segreto di Stato è stato chiaramente applicato dall’esecutivo italiano per assicurare che i responsabili non dovessero rispondere delle loro azioni». Vengono bacchettati dai giudici europei anche il silenzio del Copasir, le sentenze della Corte Costituzione, la grazia concessa dal Quirinale a tre agenti Cia. Gli unici complimenti spettano al lavoro della procura milanese.
Sin dalla fine del processo di primo grado, l’avvocato di Abu Omar Luca Bauccio era corso a Strasburgo. E Strasburgo, contrariamente alla prassi, aveva aperto subito il fascicolo. E se ieri l’altro avvocato, Carmelo Scambia, parlava di «risarcimento beffardo» (per la Corte vanno 70mila euro per danni morali ad Abu Omar, 15mila per la moglie Nabila, 30mila per spese legali), è innegabile che la sentenza sia destinata a lasciare, al di là dei soldi, una traccia: la macchia italiana è aver «dimenticato» l’articolo 3 della Convenzione, che vieta la tortura. Il favore agli Usa, questa volta, è costato caro.