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 2016  febbraio 24 Mercoledì calendario

«Bisogna chiudere Guantanamo», Obama ci riprova

«Chiudere il supercarcere di Guantanamo, significa mettere fine a un capitolo della nostra storia. Quel carcere è contrario ai nostri valori». Barack Obama ci riprova. Sette anni dopo aver preso per la prima volta quell’impegno solenne, regolarmente bloccato dal Congresso a maggioranza repubblicana, il presidente torna alla carica per cancellare quella che considera una colpa politica e morale. A Guantanamo furono destinati molti dei prigionieri catturati in Afghanistan e in altre parti del mondo nell’ambito della «guerra globale al terrorismo» proclamata da George W. Bush dopo l’11 settembre 2001.
Ben presto quel supercarcere militare divenne un simbolo in negativo, per le circostanze degli arresti e le condizioni della detenzione. Molti dei prigionieri non hanno avuto regolari processi e la loro carcerazione è stata prorogata a oltranza sfruttando lo status di “combattenti stranieri”, ma sollevando proteste sul rispetto delle convenzioni internazionali. Da ultimo si è aggiunto un ulteriore grattacapo diplomatico, dopo il disgelo tra gli Stati Uniti e Cuba: il governo dell’Avana chiede la restituzione di Guantanamo, base militare che si trova ad un’estremità dell’isola caraibica. (Su questo Obama non intende per ora aprire un negoziato).
«Mantenere Guantanamo – dice Obama – indebolisce la nostra posizione nel mondo, è vista come una macchia nel nostro rispetto della legalità». Spera di trovare un Congresso meno ostile «visto che né io né il vicepresidente Joe Biden siamo in corsa per una rielezione». Cerca anche di far breccia su un argomento molto prosaico e concreto al quale i repubblicani dovrebbero essere sensibili: i soldi. Quel supercarcere militare costa uno sproposito al contribuente americano, chiuderlo farebbe risparmiare dai 65 agli 85 milioni all’anno.
La proposta di Obama rappresenta una prosecuzione di quel lento “svuotamento” che lui ha già operato, sfruttando i propri poteri: un po’ attraverso trasferimenti di prigionieri all’estero laddove ci siano governi alleati disposti ad accoglierli; il resto verrebbe trasferito in altri carceri militari o civili (federali) sul territorio degli Stati Uniti. Il presidente ne ha già indicati alcuni, come le prigioni militari presso la base di Leavenworth in Kansas e di Charleston in South Carolina, nonché il carcere fededale di massima sicurezza a Florence in Colorado. La scelta dei siti è fatta in modo da superare una delle obiezioni della destra al Congresso, cioè che l’arrivo dei prigionieri sul suolo continentale degli Stati Uniti sarebbe una minaccia per la sicurezza nazionale.
«Non voglio lasciare in eredità questo problema al prossimo presidente», ha dichiarato Obama, aggiungendo: «Se non ora, quando?». Quando lui si insediò alla Casa Bianca, il supercarcere militare aveva 242 detenuti. Da allora Obama è riuscito a trasferirne la maggior parte in paesi stranieri e ora ne rimangono a Guantanamo 91 e di questi 35 possono essere “accolti” da paesi stranieri. Sui meno di 60 rimanenti, all’incirca la metà potrebbero essere trasferiti su ordine dell’esecutivo senza passare dal Congresso. In quanto alle obiezioni sulla sicurezza nazionale, Obama ha sottolineato più volte che uno dei terroristi colpevoli dell’attentato alla maratona di Boston, il giovane ceceno Dzhokar Tsarnaev, è stato assegnato a un carcere federale nel Colorado senza che ci siano state proteste.
Obama ha ricordato anche la lunghezza e complessità dei processi svolti in base al codice militare, che non danno migliori garanzie per la sicurezza rispetto ai processi civili (degli attuali detenuti a Guantanamo, 10 dovrebbero essere sottoposti a un processo militare). Il presidente ha richiamato i repubblicani al fatto che quando lui s’insediò alla Casa Bianca c’era un consenso bipartisan sulla chiusura di Guantanamo: «Purtroppo quel consenso è venuto meno e la chiusura del carcere militare è diventato un tema di battaglia faziosa». L’ultimo contingente di trasferimenti all’estero è stato annunciato il mese scorso quando dieci detenuti di nazionalità yemenita furono trasferiti nell’Oman. Le prime reazioni dal partito repubblicano sono state negative, ivi compreso dal senatore John McCain, uno dei pochi repubblicani rimasti favorevoli alla chiusura.