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 2016  febbraio 24 Mercoledì calendario

Le primarie del M5S dicono che le scelte condivise ancora non passano attraverso la Rete

Il prossimo sindaco della capitale d’Italia, una città di quasi tre milioni di abitanti, potrebbe essere stato scelto da appena duemila persone. Sono quelle che ieri hanno acceso il computer, si sono accreditate presso il blog di Beppe Grillo, e hanno dato il loro voto al candidato del Movimento 5 Stelle che più gli piaceva. Le primarie online sono forse il tratto più interessante e puro del modo di essere del M5S. La scelta degli aspiranti sindaci espressa con un clic rivela nelle intenzioni un modo di procedere democratico, che lascia molto spazio alle persone, persino più libero e aperto delle primarie tradizionali, strumento politico che negli ultimi anni, salvo rare eccezioni, non si è certo rivelato privo di storture. La scarsa partecipazione rappresenta invece un problema. Non solo per i pentastellati ma anche per il funzionamento dell’intero sistema democratico. Appena tre anni fa M5S venne votato da un quarto degli italiani, ottenendo una conseguente e folta rappresentanza parlamentare. Ormai è una formazione politica di massa, che non ha tenuto fede alla promessa di aprire le istituzioni come una scatoletta di tonno, ma certo non cala nei sondaggi. Sono qui per restare, insomma. Proprio per via del notevole peso di rappresentanza, i numeri trascurabili delle consultazioni online trasformano una pratica innovativa in un implicito danno alle istituzioni e alle elezioni destinate a designare chi andrà a presiederle. Solo duemila persone per Roma, la miseria di quattrocento a Milano.
Le primarie «classiche» se non altro hanno avuto una affluenza non pletorica ma comunque degna di nota: 60.000 poche settimane fa a Milano, 102 mila a Roma nel 2013. Quando ancora aveva voglia di parlare della sua creatura, Beppe Grillo lamentava l’incapacità dei media di capire la specificità del M5S. La vera rivoluzione, diceva, non era l’utopia degli onesti al potere, ma la cosa pubblica affidata a cittadini che se ne occupavano temporaneamente, superando il paradigma della politica come mestiere.
Peccato che poi arrivi il momento di scegliere la persona giusta. E nei Cinquestelle il processo di selezione del personale ha spesso rivelato il contrasto tra idea e azione, tra princìpi forti e pratiche deboli. Nella vicenda di Quarto che tanti danni ha fatto al M5S, pochi ricordano il modo in cui fu candidata l’attuale sindaco Rosa Capuozzo. Mancavano pochi giorni alle elezioni. Alla riunione del meetup erano presenti in dodici. «Chi se la sente?» chiese qualcuno. Capuozzo fu l’unica ad alzare la mano. Le primarie online dovrebbero essere l’apoteosi dell’uno vale uno. Ma come dimostra la nascita del Direttorio, c’è sempre qualcuno più uguale degli altri. A Bologna le consultazioni via Internet non ci sono proprio state. Luigi Di Maio ha deciso che Massimo Bugani, già sconfitto da Virginio Merola nel 2011 senza passare per il ballottaggio, era ancora il candidato naturale. A Torino si è proceduto per alzata di mano, nel chiuso di una stanza.
A forza di deroghe ed eccezioni, le primarie online non sembrano più un punto di forza del Movimento, ma una ammissione di debolezza. Il rito si celebra laddove c’è la certezza di perdere, come a Milano, oppure quando c’è paura di vincere e per questo nessuno vuole assumersi le proprie responsabilità. E così si svilisce un esperimento interessante di democrazia digitale. Al resto ci pensano i numeri, che mettono alla prova non solo i Cinquestelle, ma anche i partiti tradizionali sempre alla ricerca di nuove forme di partecipazione. Con Internet ognuno può dire la sua e tutti sono pronti a farlo, ma pochi prendono una decisione. Le scelte davvero condivise di una comunità, anche politica, non passano ancora per la Rete.