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 2016  febbraio 20 Sabato calendario

I Benetton vogliono vendere?

Vendere, vendere, vendere il più possibile: l’Autostrada del Sole e le altre che le fan corona, gli aeroporti romani di Fiumicino e Ciampino, perfino il ramo della maglieria, negozi compresi. Arrivati intorno all’ottantina, i fratelli Benetton (Luciano 81 anni, Gilberto 75) stanno allontanandosi dal loro impero. Ancora non hanno ufficializzato nulla, ma che stiano rimuginando su due percorsi di cessione è noto a una stretta cerchia di manager e dirigenti. La prima ipotesi è trasformare il gruppo in una specie di fondo sovrano privato: il fondo dei monarchi Benetton. Scendere dal 46 per cento attuale di proprietà della capogruppo Atlantia fino al 15 per cento circa, vendendo cioè il 30 per cento e trasferendo la guida delle aziende e la scelta dei manager ad altri soggetti, probabilmente stranieri. Atlantia vale tra i 14 e i 15 miliardi di euro e in Italia nessuno è in grado di reggere queste cifre.
I Benetton si trasformerebbero in rentier, dediti al reinvestimento della montagna di quattrini incassati verso nuovi affari, operazione per cui potrebbero ancora avvalersi di Carlo Bertazzo, attuale direttore generale di Edizione, la holding di famiglia. Subordinato a questo primo percorso ce n’è un altro che prevede la sola vendita di Aspi-Autostrade per l’Italia, la concessionaria che gestisce gli 800 chilometri dell’Autostrada del sole più altri 2 mila, di cui è amministratore Giovanni Castellucci che è anche amministratore di tutto il gruppo Atlantia.
I Benetton intendono vendere per tanti motivi. Privati, anagrafici e familiari prima di tutto, ma anche di natura economica, politica e di mercato. Tra i motivi privati c’è l’età avanzata dei due fratelli. Dopo il passo di lato del “giovane” Alessandro (52 anni), nessuno nella famiglia è disposto a ricevere il testimone dai patriarchi. Anche Gianni Mion che della famiglia non è, ma è considerato di casa, dopo 30 anni di fruttuosa collaborazione al fianco dei Benetton ora intende farsi da parte. Mion è un 72enne e l’intenzione di ridurre il suo impegno l’ha manifestata più volte, salvo poi ripensarci. Questa volta, però, tutti si rendono conto che intorno al gruppo sta cambiando un mondo e le decisioni non possono essere rinviate.
Il settore autostradale è diventato una foresta pietrificata di guadagni facili (da parte delle concessionarie), rendite di posizione, tariffe sempre in aumento calcolate con sistemi assolutamente poco trasparenti con riferimento a piani finanziari tenuti segreti. In cambio di generiche promesse di investimenti, due anni fa l’allora ministro dei Trasporti Maurizio Lupi consentì alle concessionarie di allungare i termini delle concessioni stesse senza gara grazie a un sistema di fusioni. Era un criterio che prestava il fianco a mille obiezioni, soprattutto per lo scarso rispetto della concorrenza. E infatti è stato abbandonato anche in seguito alle pressioni dell’Europa e usato dal nuovo ministro Graziano Delrio solo in un caso, quello della A22 Modena-Brennero, per l’occasione trasformata in autostrada totalmente pubblica.
Lo schema Delrio difficilmente potrà essere replicato, ma il governo di Matteo Renzi le mani sul sistema delle autostrade intende mettercele e probabilmente non nella direzione auspicata dai Benetton. Anche grazie a un’accurata azione di lobby, Autostrade per l’Italia finora ha potuto godere di posizioni addirittura più vantaggiose di quelle garantite a tutte le 23 concessionarie. Ma l’anomalia che ha assicurato incassi giganteschi ai Benetton non può durare in eterno. Non a caso all’interno del gruppo Atlantia c’è sempre meno spazio per Fabrizio Palenzona, che più di altri quell’anomalia l’ha coltivata in qualità di presidente Aiscat, l’associazione delle concessionarie autostradali, e di Gemina (la finanziaria fusa con Atlantia). Anche sui nuovi lavori, Autostrade non può aspettarsi molto: finita la Variante di Valico, di cose nuove da fare ce ne sono poche, la Gronda di Genova e forse (ma non è sicuro, anzi) la Tarquinia-Grosseto.
Diverso il discorso per Adr-Aeroporti di Roma, ma identica la conclusione: meglio vendere. Dopo una battaglia durata un decennio, i Benetton sono riusciti a farsi concedere dal governo Monti tre anni fa un aumento consistente delle tariffe a Fiumicino: 10 euro a biglietto in media. E a differenza delle autostrade dove il traffico non cresce, lo scalo romano passa da un record di passeggeri all’altro. Non decolla però il gigantesco progetto Benetton di raddoppio dell’aeroporto a Nord, sui terreni da espropriare di proprietà degli stessi Benetton. Troppe le resistenze, troppe le opposizioni al progetto. Meglio lasciare ad altri la patata bollente.