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 2016  febbraio 20 Sabato calendario

Catalogo degli uomini scelti da Renzi negli ultimi 24 mesi per la guida di società come Eni ed Enel, Cassa Depositi e Ferrovie. Manager che muovono ogni anno il 15% del Pil nazionale

La politica è fatta di leggi, di strategie e di persone. Non solo ministri e sottosegretari, alti burocrati e super-consulenti, ma anche manager: i capi azienda delle maggiori società di Stato, siano esse controllate al 100% o solo partecipate. Il ruolo-chiave degli uomini scelti dall’esecutivo per la gestione di alcune delle realtà più importanti dell’economia italiana è evidente, ma emerge ancor più chiaramente guardando all’ampiezza del giro d’affari complessivo delle aziende nel portafogli pubblico.
Nel caso di Matteo Renzi, gli uomini da lui scelti negli ultimi 24 mesi per la guida di società come Eni  ed Enel, ma anche Cassa Depositi e Prestiti o Ferrovie, muovono ogni anno l’equivalente del 15% del pil nazionale, ossia oltre 250 miliardi di euro. La cifra è approssimativa, stimata sommando i ricavi 2014 (ricavabili dagli ultimi bilanci disponibili) delle sette principali aziende che hanno registrato un cambio di consiglio di amministrazione sotto l’attuale governo: Eni, Enel, Finmeccanica, Terna, Poste Italiane, Ferrovie dello Stato e Cassa Despositi e Prestiti. Società diversissime tra loro per business e assetti, ma per le quali la strategia di Renzi è stata piuttosto lineare finora, salvo qualche imprevisto (e potente) scossone negli ultimi mesi.
Quando si è trattato di scegliere i vertici per le principali società quotate (controllate direttamente o indirettamente dallo Stato), quindi Eni, Enel, Terna  e Finmeccanica, si è optato per un rinnovamento completo dei board, senza alcuna riconferma.
Tuttavia questa linea ha assunto sfumature diverse: nel caso di Eni  ed Enel  si è optato per la valorizzazione di manager interni, con la promozione rispettivamente di Claudio Descalzi, già a capo della divisione esplorazione e produzione di Eni, ad amministratore delegato e con il trasferimento dalla poltrona di ad della controllata Enel  Green Power a quella della capogruppo Enel  per Francesco Starace. Sia per Terna  che per Finmeccanica  invece si è optato per una maggiore discontinuità, con l’arrivo di manager provenienti dall’esterno e anche da settori molto diversi dal core business delle aziende in questione: l’ex direttore generale di Cdp Matteo Del Fante, con un background perlopiù finanziario, è stato scelto per Terna, mentre Mauro Moretti, l’artefice del risanamento delle Ferrovie dello Stato, è arrivato al timone di una Finmeccanica  bisognosa di voltare veramente pagina.
Per quanto riguarda le presidenze, a dettare la linea sembra essere stata più che altro la logica delle quote rose, con tutte le poltrone di chairman (con l’eccezione di quella di Finmeccanica, su cui è seduto Gianni De Gennaro) affidate a donne manager: Emma Marcegaglia per Eni, Patrizia Grieco per Enel  e Catia Bastioli per Terna. Una scelta al femminile, con Luisa Todini, è stata anche quella per la presidenza di Poste Italiane, il cui nuovo consiglio è stato indicato dall’attuale governo nella primavera del 2014. A Francesco Caio, scelto come nuovo ad, è stato affidato il compito di traghettare in borsa la società. Compito eseguito, sebbene con alcuni mesi di ritardo, proprio nell’estate 2015, con un debutto a Piazza Affari decisamente soddisfacente per la società e l’esecutivo.
Insomma, benché nel rispetto dell’autonomia e delle prerogative delle società, in particolare di quelle quotate, il tratto che caratterizza l’atteggiamento di Renzi verso grandi aziende di Stato sembra la volontà di farne dei facilitatori, ove possibile, dell’azione del governo nell’economia. Si pensi al caso Ilva. O all’intervento di Enel  nel progetto dell’esecutivo per la banda ultralarga; se la società potrà infatti trarre benefici economici dalla partecipazione alla partita della fibra in Italia, è innegabile che il suo intervento, riducendo di molto i costi per portare la connessione fin dentro le case, sarà cruciale per la buona riuscita del piano. Questa logica è poi emersa in maniera esplicita in un’altra situazione: il ribaltone ai vertici di Cassa Depositi e Prestiti. A luglio scorso è stato deciso il cambio dell’intero cda, giustificato dall’esecutivo proprio con la volontà di rendere più incisiva l’azione della holding (80% Tesoro) nell’economia. Questa la mission affidata ai nuovi vertici Claudio Costamagna (presidente) e Fabio Gallia (ad), che a dicembre hanno presentato un ambizioso piano industriale che prevede di mobilitare ben 260 miliardi al servizio dell’economia del Paese tra risorse proprie (160 miliardi) e di terzi, con un orizzonte al 2020. Non solo: il nuovo management è chiamato a scendere in campo in partite delicate, sulle quali la gestione precedente aveva abilmente glissato. Come il salvataggio dell’Ilva, per la quale alla scadenza fissata dal bando internazionale di vendita (lo scorso 10 febbraio) la nuova Cdp ha presentato una manifestazione d’interesse. Ma quello in Cassa non è l’unico ribaltone inatteso deciso dal governo Renzi; solo alla fine di novembre 2015, infatti, presidente e ad di Ferrovie, peraltro nominati poco più di un anno e mezzo prima dallo stesso esecutivo, sono stati di fatto congedati. Al posto del ceo Michele Mario Elia è stato nominato l’ex ad di BusItalia Renato Mazzoncini, mentre la poltrona di presidente è passata da Marcello Messori a Gioia Ghezzi. Al nuovo management il compito di portare Fs sul mercato, con un’ipo per la cessione del 40% del capitale. L’obiettivo è in agenda già per il 2016, ma ormai è praticamente certo il governo dovrà accontentarsi di raggiungerlo non prima del 2017.