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 2016  febbraio 20 Sabato calendario

Socci ha scritto un libro a tu per tu con il Papa. E nessuno ne parla

Il suo libro non ha ancora ricevuto una recensione, se si eccettua una segnalazione, un po’ acida in verità, del Foglio, eppure ha rapidamente scalato la classifica della saggistica, piazzandosi stabilmente alla quarta posizione. Stiamo parlando di Antonio Socci, scrittore e giornalista senese, classe 1959, e de La profezia finale, edito da Rizzoli, sul quale pare essere calata una sorta di congiura del silenzio, come accade spesso sui lavori di questo cattolico che ha il vizio d’andare controcorrente o che, più probabilmente, prende in parola il Vangelo laddove raccomanda ai cristiani di rifuggire gli infingimenti: «Sia il vostro parlare sì sì, no no. Il resto è del Diavolo».
Dopo il precedente Non è Francesco, uscito per Mondadori, che oltre allo scoop sulla possibile invalidità dell’elezione di Jorge Bergoglio nel Conclave, ne criticava aspramente l’operato, Socci torna a rivolgersi al Papa, con una sorta di lettera aperta, che mette in fila le decisioni e le condotte che stanno sconcertando molti fedeli.
Domanda. Socci, il tono della lettera è quasi filiale. Eravamo abituati a una prosa piuttosto vivace.
Risposta. L’altro libro era un lavoro da giornalista o, se vuole, da storico. Stavolta mi rivolgo direttamente a lui, al Papa, da cattolico. Cerco di mettergli davanti, con rispetto, in modo che non possa sentirsi aggredito, lo sconcerto di tanti.
D. E lui, tra l’altro, è parso gradire.
R. Sì ho ricevuto una sua lettera autografa dove mi ha detto che sta leggendo il libro, che gli è utile e dice testualmente che «anche le critiche ci aiutano a camminare sulla retta via».
D. Beh, un bel complimento. Cos’è che sconcerta in questo papato, Socci?
R. Molte cose e ma l’unica cosa che un pontefice non dovrebbe potersi permettere, secondo me, è proprio confondere i fedeli. Il Papa, anzi, deve confermare nella fede.
D. Una cosa che ha stupito molti, e che lei richiama più volte nel libro, è il richiamo alla questione ambientale e l’enciclica ecologista Laudato Si’.
R. Quella dell’ambiente è una preoccupazione che abbiamo tutti, ma quello di Papa Bergoglio è un punto di vista contraddittorio rispetto al magistero precedente.
D. Per esempio?
R. Per esempio Benedetto XVI iscriveva i riferimenti all’ambiente nella «ecologia umana», certo più coerente col pensiero della Chiesa. Insomma, c’era sempre la centralità dell’uomo.
D. Invece, Francesco?
R. Francesco denota una subalternità culturale al mainstream ecologista-catastrofista, una concezione per la quale l’uomo è un tumore del creato.
D. Beh, il Papa non dirà questo.
R. Certo che no, ma sviluppando un pensiero che parte dalle stesse premesse, è difficile dissociarsi dalle conseguenze. La Laudato Si’, poi, si appoggia al concetto di sviluppo sostenibile che, non a caso, nessuno dei predecessori ha voluto usare occupandosi di ambiente. Oltretutto è datato: sono proprio i sistemi non sviluppati a produrre il massimo dell’inquinamento. Nell’enciclica ci sono luoghi comuni anni ’70, riconducibili agli allarmismi del Club di Roma sulla esauribilità delle risolse, roba «neo-malthusiana», ampiamente smentiti dalla realtà.
D. Il Papa ne fa una questione di giustizia.
R. Ma guardi che io non contesto affatto, a Francesco, di aver una accento a favore dei derelitti, ben venga, anzi. A me pare, però, che non vada oltre una certa retorica parrocchiale.
D. Cioè.
R. Cioè dopo la Deus caritas est di Papa Ratzinger e dopo la crisi del 2008, la Chiesa avrebbe potuto stare dalla parte dei poveri, muovendo una critica alla finanziarizzazione dell’economia, rivendicando quello che la Rerum Novarum diceva già contro il capitalismo e il marxismo.
D. Ricordiamolo.
R. Che le ideologie che speravano di fare il mondo giusto con un meccancismo, di mercato o sociale, erano destinate ad andare a sbattere.
D. Invece?
R. Invece il Papa dei diseredati piace moltissimo alle grandi corporation, da Microsoft ad Apple.
D. Piace un messaggio che, a volte, suona un po’ New Age un po’ sincretista, come il video per il dialogo interreligioso di cui ha parlato ItaliaOggi. Si concludeva con musulmano, un ebreo, un protestante e un prete cattolico che dicevano: «Credo nell’amore».
D. Il problema è che Bergoglio è figlio della sua storia, essendo argentino. E quel Paese è impregnato delle suggestioni peroniste, in cui destra e sinistra si confondono, socialfascismo e socialcomunismo si danno la mano. Per inciso, è la classe dirigente che ha portato quel Paese al default.
D. Ma lei che idea s’è fatto?
R. Ho cercato di immedesimarmi, perché devo pensare che il Papa sia in buona fede.
D. E che cosa ha capito?
R. Che nel suo cuore, un po’ come il cattolicesimo progressista degli anni ’70, ci sia l’idea di abbassare l’asticella della fede, allentare la proposta, per vincere la crisi dei fedeli. Niente di più sbagliato, perché la proposta religiosa è una sfida alla propria umanità, se cerca di accalappiarti al ribasso, suona falsa.
D. Oltretutto, lei scrive, il sociologo delle religioni Rodny Starks ha dimostrato con le sue ricerche che è una strategia suicida.
R. Le congregazioni protestati, nord americane ed europee, hanno perso, in questo modo, milioni di fedeli. Un’illusione come quella del cardinale Carlo Maria Martini, che riteneva che la Chiesa, avvicinandosi al mondo, mondanizzandosi, si rendesse più attraente. Ma non si rende un buon servizio al mondo, perché la gente aspetta altro, non minestre riscaldate al fuoco della contemporaneità, e si porta la Chiesa nel baratro.
D. E poi, lei notava, non c’è troppa tolleranza per punti di vista differenti.
R. Infatti, nel passato, nella sua grandezza, la Chiesa dava spazio a tante sensibilità diverse. Oggi, invece, c’è un appiattimento su questa visione, chi non si uniforma subisce il pugno di ferro, come dimostra la vicenda dei Francescani dell’Immacolata.
D. L’ordine commissariato duramente.
R. Esatto. E poi ci metterei il disprezzo, il sarcasmo delle autorità vaticane verso il Family Day.
D. Manifestazione sulla quale il pontefice non ha detto una parola.
R. Sì ed è francamente stupefacente. Perché Bergoglio è il Papa che ha arringato i centri sociali, fra cui il Leoncavallo di Milano, con riferimenti alle «moltitudini» che parevano arrivare dritte dai libri di Toni Negri, con l’invito a «non stancarsi di lottare», e non trova il tempo per una benedizione a un popolo di famiglie cristiane, arrivate da tutta Italia, a proprie spese.
D. Oltretutto, come lei ha scritto su Libero, sarebbe stato vietato, ai sacerdoti che erano presenti al Circo Massimo, di poter celebrare messa, la mattina, in San Pietro, per le loro comitive.
R. Una durezza senza precedenti quella contro il Family Day. Oltretutto incoerente: è Stato il Papa a dire che i laici non dovevano «seguire i vescovi come pesci pilota». E una volta che lo fanno, si trattano così? Senza considerare tutto quello che è stato fatto prima, per azzoppare la manifestazione e poi, col divieto posto a Kiko Arguello, il leader dei Neocatecumenali, di parlare dal palco.
D. Sembra che il Papa abbia una sorta di doppio registro: all’Estero dice alcune cose, specialmente sulle questioni etiche, che si guarda bene dal ridire in Italia.
D. Con poco spirito conciliare e rispetto per i laici, ha teorizzato per esempio che non deve esistere un partito cattolico in Italia. Ora, lo lasci decidere ai laici italiani, visto che oltretutto lui è argentino. Senza dimenticare che il magistero ha sempre detto l’opposto. Ma poi, Angela Merkel non è capo di un partito cristiano, che ha dentro i cattolici della Csu? Il Papa ha una teoria sulla irrilevanza dei cattolici nella vita pubblica e ha incaricato il segretari della Cei, Nunzio Galantino, di articolarla pubblicamente. E se Bergoglio tace su certi temi, in compenso, entra a gamba tesa su altri.
D. Per esempio?
R. Quello dell’immigrazione. Lui teorizza quella non controllata, unico nel magistero, ma anche fra le personalità pubbliche, da quando ci sono gli Stati sovrani. Ora, è chiaro che non è possibile. Non solo, per citare Giovanni Paolo II o Benedetto XVI, la Chiesa ha semmai ribadito il diritto dei popoli a non migrare, cioè ad avere le giuste condizioni di vita e di crescita nelle proprie terre.
D. Su questo tema ha bacchettato l’altro giorno anche Donald Trump
R. È un’altra questione: con quell’intervento Bergoglio dimostra di essere legato a doppio filo al gruppo di potere Obama-Clinton e tira la volata a Hillary per le presidenziali. Sul tema delle migrazioni, tra l’altro, dall’altra parte del mondo, in Africa, la Chiesa è preoccupatissima.
D. Vale a dire?
R. Nel recente Sinodo africano, i vescovi si sono appellati ai giovani a giocare i propri talenti nei loro Paesi di origine. Perché l’immigrazione economica, che non c’entra con il fenomeno dei rifugiati, rappresenta uno sradicamento traumatico che impoverisce l’Africa. A fuggire sono infatti i giovani del ceto medio, che hanno avuto accesso per primi all’istruzione, provvisti di un po’ di mezzi, tanto da poter pagare l’ingente costo del viaggio. La Chiesa d’Africa vede in questo fenomeno, un ulteriore impoverimento del Continente nero.
D. Per tornare in Italia, lei nel libro cita don Luigi Giussani e don Giacomo Tantardini, il fondatore di Comunione e liberazione e un prete che gli fu molto vicino. Su questo movimento lei però, negli ultimi tempi, è stato piuttosto duro, sul suo sito, sulla sua pagina Facebook e anche su qualche editoriale su Libero. Perché?
R. Sono stato duro non con Cl ma con chi la guida, don Julian Carron.
D. A cui rimproverà di aver condotto il movimento cattolico verso una deriva intimista.
R. Per 35 anni, Cl è stato un movimento di rilevanza sociale, culturale e politica pressoché unica, educando le persone a vivere le fede in tutte le sue dimensioni. Lo capì Paolo VI, che vedeva la Chiesa andare a picco, e lo comprese benissimo Giovanni Paolo II che, essendo polacco e legato a un cattolicesimo dell’incarnazione, ci entrò subito in sintonia. E mi faccia aggiungere una cosa.
D. Prego.
R. Cl seppe affascinare soprattutto i laici, perché sapeva interloquire totalmente dentro la modernità, anzi proprio con gli ingolfamenti della cultura moderna in maniera tutt’altro che reazionaria. Per questo aveva fatto breccia soprattutto tra i giovani. Per anni è stato così, nella società e nella Chiesa.
D. Ora invece?
R. Ora Cl, come ha dimostrato il Family Day, da cui si chiamata fuori, ha divorziato dalla «gente-gente», come la chiamava Giussani.
D. Una Cl totalmente bergogliana.
R. Direi galantiniana, nel senso di monsignor Galantino, con cui Carron ha stabilito un asse di ferro. In cui il magistero di Bergolio è pretesto per portare a compimento la mutazione del Dna di Cl in movimento intimista. Se il movimento fosse bergogliano sarebbe molto meglio.
D. In che senso?
R. Nel senso che il Papa, rivolgendosi a Cl, disse due cose molto giussaniane: basta con l’autoreferenzialità e uscite fuori.
D. E invece don Carron sembrebbe optare con la «scelta religiosa», come fece l’Azione cattolica negli anni ’80.
R. Peggio, annichilisce Cl con una psicanalizzazione continua, con un intimismo esasperato. Posso dirle una cosa fra toscani?
D. Certo.
R. È come se riducesse il carisma di don Giussani a una supercazzola tognazziana da Amici Miei.
D. E questo perchè?
R. Perché con Cl non ha nulla a che fare, non ne ha mai fatta l’esperienza, è sostanzialmente un corpo estraneo. Ha continuato a fare quello che faceva in Spagna negli anni ’80, quando lo conobbe don Giussani, ossia il movimento Nueva Tierra.
D. Concludiamo sul libro, Socci. La prima parte, che gli dà il titolo, è dedicata ad alcune profezie di santi, come don Giovanni Bosco, o di pontefici come Leone XIII, piuttosto fosche.
R. Sì, ma quella parte si conclude con la vittoria del cuore immacolato di Maria, secondo la profezia affidata a Lucia dos Santos, una delle veggenti di Fatima.
D. Lei che conclusioni ne trae? I tempi che viviamo, inverano quelle visioni?
R. Secondo me siamo vivendo i colpi di coda, e quindi i più feroci, del secolo breve, il ventesimo, che dura ancora. È il tempo della grande persecuzione dei cristiani da parte di tutte le ideologie e, ora, della autodemolizione della Chiesa che Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno visto chiaramente. È quella che si legge al numero 675 del Catechismo.
D. E che cosa dice?
R. Che prima della venuta di Cristo, ci sarà la prova finale che scuoterà la fede di molti, «una impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dall’apostasia dalla verità. Catastrofi materiali che si collegano a catastrofi morali.
D. Già ma per chi non è credente?
R. Per l’analisi umana fa testo quello che dice Réné Girard e cioè che il mondo parrebbe correre verso «un appuntamento planetario con la propria violenza».
D. Il Papa parla di terza guerra mondiale combattuta a pezzi.
R. Appunto. Perché in genere, quando si perseguita la Chiesa, si perseguita l’umano.
D. Segnali di speranza, ne vede?
R. Per la Chiesa la speranza viene dall’Africa. Dove i battezzati si moltiplicano. E dove c’è una generazioni di vescovi che, nell’ultimo Sinodo, ha fatto tenere a tutta la Chiesa la barra dritta sulla dottrina del matrimonio e della famiglia.
D. Chi la incarna?
R. Persone come il cardinale Robert Sarah, guineano, un personaggio strepitoso, un vescovo eroico, di fede profonda, che ha sofferto sotto la dittatura militare e sotto quella comunista.
D. Quindi, in barba alla profezie sbagliate, come quella di sventura che si attribuisce a Nostradamus sul pontefice nero, un papa di colore è auspicabile.
R. Un Papa africano? Magari.