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 2016  febbraio 23 Martedì calendario

Sono aumentati i furti impuniti

«Roma caput furti» scriverebbe oggi il poeta Marco Anneo Lucano se girasse per le strade della capitale. Sebbene il reato più antico del mondo spopoli in tutta Italia e Milano sia in cima alla classifica Istat 2014, le vie di Roma sembrano particolarmente appetibili a ladri e ladruncoli, che nel 2015 hanno messo a segno 156mila «furti aggravati» – tra borseggi, furti d’auto o nelle auto ecc –, facendola franca praticamente sempre. Con buona pace degli aumenti di pena minacciati o dispensati periodicamente da una politica miope (che non vede che quando i ladri finiscono in carcere, ne escono specializzati nel furto) ma soprattutto strabica, perché non vede proprio il dato più vistoso, e cioè che nel 95% dei casi i ladri restano «ignoti» alle forze dell’ordine e alla giustizia. Le dosi ulteriori di carcere sbandierate come medicina salvifica dell’insicurezza urbana restano dunque sulla carta e non hanno nemmeno un effetto deterrente poiché, mentre la generalità dei reati è in diminuzione, i furti aumentano quasi ovunque. Eppure, in questa direzione va anche la riforma del processo penale – che la prossima settimana riprenderà il suo cammino al Senato – con una delle poche norme approvate dalla Camera quasi all’unanimità.
Gli aumenti di pena per i reati di strada sono una costante della politica giudiziaria e della sicurezza quando la cronaca o le statistiche riportano in primo piano la microcriminalità. Misure con una forte carica simbolica ma una scarsa efficacia concreta, poiché non trovano riscontro nella vita quotidiana dei cittadini, ingannati o illusi da slogan bugiardi come quello della «tolleranza zero». Basta dare uno sguardo, appunto, ai più recenti dati sui reati di strada, in particolare ai furti, per verificare l’inutilità della risposta penale: nel 2014 – secondo le ultime rilevazioni del Dipartimento di pubblica sicurezza elaborate dall’Istat a gennaio e anticipate dal Sole 24 ore del 7 dicembre – vi è stato un aumento dei reati predatori, con un trend in controtendenza rispetto al complesso dei delitti. La piaga dei furti è quantificata in 1,58 milioni di denunce (+1,2% rispetto al 2013) con punte superiori (+8,12%) nel caso dei «furti con destrezza» (quasi 180mila denunce), cioè i soli borseggi. Se poi si guardano i dati del 2015 di alcune Procure, come Roma, si scopre che il «furto aggravato» (articoli 624 e 625 del Codice penale, in cui rientrano sia i furti con destrezza che quelli d’auto o nelle auto) è ben più esteso, visto che a Piazzale Clodio si sono riversate oltre 150mila denunce (151mila nel 2014), di cui 152mila archiviate perché gli autori sono rimasti ignoti.
È dunque ragionevole chiedersi se le strategie adottate finora siano davvero le più efficaci per rispondere, più che alla “percezione di insicurezza”, alla reale insicurezza e al diffuso senso di abbandono dei cittadini; e se non sia, invece, necessario cambiare strategia, scegliendo strade meno demagogiche e mediaticamente appetibili ma forse più concludenti sul fronte della deterrenza. Per esempio – in attesa di un Big Data che, come negli Usa, consenta di individuare gli hotspot, le “zone calde”, dei furti in strada, dove concentrare il lavoro preventivo delle polizie (si veda Il Sole 24 ore di domenica) – puntando su una maggiore reattività e presenza delle forze dell’ordine, irrobustendo le risorse e motivando gli operatori. I quali, al pari dei cittadini, forse vivono una frustrazione che può portare alla rassegnazione, al fatalismo e, quindi, all’immobilismo.
Secondo quanto riferisce Rossella Cadeo sul Sole 24 ore del 7 dicembre, nel 2014 è stato il Centro-nord il più colpito dalla criminalità predatoria, o di strada. E adesso, i primi dati sul 2015 raccolti dal Sole in alcune Procure (dove confluiscono le denunce di tutte le forze dell’ordine) confermano, in particolare, che il «furto aggravato» è la piaga principale della sicurezza urbana.
A Roma si viaggia su ordini di grandezza di centinaia di migliaia di denunce, e altrettante archiviazioni (in aumento rispetto all’anno precedente, quando erano, rispettivamente, 155.945 e 151.065). E se i numeri di Torino sono più contenuti (35.174), Milano fa il paio con la capitale: le statistiche parlano di “soltanto” 4.214 denunce ma contengono un «dato nascosto», non tanto perché la rilevazione del 2015 si ferma al 3 novembre (e notoriamente, durante le festività i furti aumentano), quanto per la modalità di rilevazione. Spiega il Procuratore Aggiunto Riccardo Targetti, capo del pool milanese «Reati patrimoniali»: «Per sopravvivere alla massa enorme di denunce abbiamo adottato il sistema degli “elenchi” di denunce dello stesso genere, a ciascuno dei quali corrisponde un numero di ruolo». Ogni elenco (già predisposto e inviato da polizia e carabinieri) contiene però tra le 20 e le 40 denunce, il che significa che se, statisticamente, in Procura risultano 4.214 denunce per furto aggravato, di fatto quel numero va moltiplicato per 20 o 40, raggiungendo quindi un ordine di grandezza di decine o, più spesso, centinaia di migliaia di fascicoli, anche lì chiusi quasi tutti con l’archiviazione.
Si dirà che il proliferare della microcriminalità di strada è il prezzo da pagare per avere più sicurezza su altri fronti della criminalità che impegnano le forze dell’ordine, visto che le risorse sono limitate. Che è, insomma, una precisa strategia della politica della sicurezza.
Spesso, poi, le forze dell’ordine si lamentano con la magistratura. «Noi li arrestiamo e loro li scarcerano», ripetono. I magistrati, però, se la prendono con un legislatore schizofrenico e ondivago che, a seconda delle emergenze del momento, allarga o riduce il ricorso alla custodia cautelare (com’è avvenuto con la recente riforma, che ha limitato l’uso delle manette). C’è del vero anche in questo, se non fosse che, nella stragrande maggioranza dei casi, i furti in strada denunciati restano di autore ignoto e, dunque, il problema delle manette neppure si pone.
«È difficile dire che cosa fare, anche se lavorare sul territorio e sulla motivazione delle forze dell’ordine è senz’altro importante – osserva Stefano Pesci, Pm a Roma -. È invece certo quello che “non” si deve fare, e cioè continuare con la schizofrenia legislativa degli aumenti di pena che non servono a niente». Per Targetti, «aumentare le pene assomiglia alle grida manzoniane». Il Pm di Milano è convinto che le forze dell’ordine «debbano presidiare di più il territorio per dare più sicurezza ai cittadini. Là dove avviene, la microcriminalità è ridotta». Inoltre, si dovrebbero implementare le banche dati dei visi degli autori di furto. «Grazie alle telecamere nelle strade, nei condomini o nei negozi, abbiamo le immagini del ladro – spiega – ma non abbiamo una Banca dati che ci consenta di incrociare i dati, per cui non riusciamo ad assegnare subito un viso ad un nome». Paolo Borgna, Procuratore Aggiunto a Torino e capo del pool criminalità organizzata-sicurezza urbana è anche lui sulla linea di un «maggior controllo sul territorio delle forze dell’ordine» per contrastare la microcriminalità di strada, dallo spaccio ai furti. «L’idea di considerarsi sconfitti in partenza – osserva – di non ingaggiare nemmeno la battaglia, produce un senso di abbandono nel cittadino, e quindi di sfiducia verso lo Stato».
La voce della Polizia mette, sì, l’accento sulle risorse ma anche sulla «sicurezza partecipata» e sulla «percezione di insicurezza». «Aumentare le risorse sul territorio è importante – dice Giovanni Battista Scali, Dirigente dell’Ufficio prevenzione e soccorso pubblico della Questura di Roma – e non a caso da fine novembre abbiamo implementato molto uomini e mezzi, arrivando a 100 volanti per ogni turno sul territorio di Roma. Il che ci permette un maggiore controllo. È chiaro, però, che occorre la collaborazione dei cittadini, i primi alleati della polizia, le sentinelle. E questo vale anche per i furti in strada, sebbene siano reati che si consumano in modo veloce. Ovviamente, ci sono delle priorità di cui tener conto prima di intervenire sul posto». Scali però ritiene che molto ci sia da fare anche sul fronte della insicurezza percepita: «Se cammino di notte su una strada buia, ho paura; se la strada è illuminata, no. Perciò, quando succede un reato, è giocoforza dire: visto che avevo ragione a dire che Roma è insicura?». Bisogna poi fare i conti con la realtà: a Roma vivono, o comunque transitano, 5 milioni di persone ed è impensabile che non ci siano reati, «ma quando capita si rafforza la percezione di insicurezza». Quanto alla collaborazione dei cittadini, ovvero alla «sicurezza partecipata», le segnalazioni sono importanti ma «vanno potenziati anche i sistemi di difesa passiva, come le videocamere. Quelle pubbliche sono ormai oltre 2000 e ci consentono di controllare stazioni della metropolitana e grandi piazze». Insomma, conclude Scali, «bisogna anzitutto eliminare una serie di condizioni che provocano il senso di paura della cittadinanza».