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 2016  febbraio 23 Martedì calendario

I funerali laici del «Prof. Umberto Eco, filosofo, linguista, saggista», come da cartello ufficiale

Funerali laici, oggi alle 15, al Castello Sforzesco, a due passi dalla sua abitazione, secondo le volontà del «Prof. Umberto Eco, filosofo, linguista, saggista», come recita il cartello ufficiale della municipalità di Milano. Ma una tale pomposità non sarebbe affatto dispiaciuta all’autore del Nome della Rosa, incidentalmente anche romanziere di best-seller planetari. Forse ci avrebbe riso sopra, inventandosi una battuta esilarante, come suo solito, ma avrebbe apprezzato la scelta e l’ordine di quelle parole. Prof. innanzitutto, mestiere che adorava: «Docente a Bologna, dove i primi clerici vagantes istituirono la prima università quando a Oxford e alla Sorbona si pascolavano ancora i cinghiali, ho iniziato la mia carriera filosofica con un libro sul Medioevo». E poi soprattutto filosofo, prima ancora che linguista, saggista e mille altre cose ancora. Medievista, enciclopedista, direttore editoriale Bompiani e di recente fondatore della Nave di Teseo, conferenziere, animatore del Gruppo ’63, del Dams, delle facoltà di Scienza della comunicazione e di Libertà e Giustizia, plurilaureato honoris causa. Il tutto servito in un misto di umorismo, spirito pratico, giocosità, volontà morale e pedagogica, capacità di unire con naturalezza cultura alta e cultura popolare, barzellette osé a questioni metafisiche. Ma in tutto ciò voleva soprattutto essere preso sul serio come filosofo. Anzi, come filosofo laico, con il raro buon gusto di non sottolinearlo in ogni occasione. Amava piuttosto filosofare alla maniera del suo amato San Tommaso, filosofo e logico prima che teologo. Una sera, durante una cena bolognese, affermò scherzosamente di aver trovato l’argomento decisivo per confutare la prova ontologica dell’esistenza di Dio. Creò una grande curiosità, si fece molto pregare, e infine rivelò l’argomento: «L’esistenza non è una perfezione». E ricordo ancora la grazia di una sua conferenza intitolata «Embrioni fuori dal Paradiso». Esordì con la premessa che egli non intendeva «sostenere posizioni filosofiche, né etiche né politiche su questioni come l’aborto, le staminali o l’eutanasia». «La mia relazione ha carattere puramente storico e intende raccontare cosa pensasse San Tommaso. Il fatto che la pensasse diversamente dalla Chiesa di oggi, al massimo rende la ricostruzione più curiosa». Non è un modo delizioso per far scoccare una scintilla di riflessione, su un tema così delicato, in chiunque lo stia ascoltando, sia esso animato o meno da fervore religioso? («Gli embrioni non prenderanno parte alla resurrezione della carne», era il passo su cui concentrò la sua analisi.) E en passant aggiungeva una riflessione sulla credenza secondo cui la Chiesa, nel Medioevo, negava che le donne avessero l’anima. «È una palla» messa in giro dai positivisti dell’800, quei «fondamentalisti laici!». In realtà, tutto nell’opera di Eco trasuda laicità, persino negli scritti di quando ai primordi si professava cattolico. E la sua è la forma di laicità più saggia e matura, quella che non deve mancare – appunto – neppure agli spiriti religiosi, perché è la laicità che alimenta l’onestà intellettuale e lo spirito critico, da Socrate ai giorni nostri, senza i quali non si è, non solo buoni studiosi, ma neppure buoni cittadini. «L’ironia è una forma di religione. Chi ride di sé si ama». Sono le parole, inedite, che abbiamo pubblicato due giorni fa sul supplemento Domenica. Amare sé stessi, e pensare che la cultura sia il più bel modo di divertirsi per un essere umano che vive in una comunità che non sia composta solo di «uomini-massa», per non dire di «imbecilli» – e che da questo amore di sé possa scaturire una limpida vocazione morale e politica, è forse, tra le innumerevoli lezioni che il Prof. Umberto Eco ci ha impartito, la più importante e la più preziosa.