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 2016  febbraio 23 Martedì calendario

Gli avvocati hanno un loro giornale, si chiama Il Dubbio. Ma c’è un problema

Gli avvocati hanno un loro giornale, si chiama Il Dubbio. Mi sembra cosa buona e giusta: 250.000 professionisti, con un ruolo così importante in una istituzione che condiziona la vita del Paese, debbono avere un veicolo idoneo a far sentire la loro voce. Suggerimenti, critiche, anche difese corporative, saranno esposte pubblicamente, in maniera non equivoca e dunque con irretrattabili assunzioni di responsabilità. Mi piace, come ho detto. O forse dovrei dire mi piacerebbe perché – da come si mettono le cose – pare che Il Dubbio debba affrontare strade in salita.
Il Dubbio sarà edito dal Cnf (Consiglio Nazionale Forense) che, secondo Wikipedia, è «l’organismo di rappresentanza istituzionale dell’avvocatura italiana e rappresenta l’intera classe forense». Compiti che – secondo l’Oua (Organismo Unitario dell’Avvocatura) – sarebbero incompatibili con il ruolo di editore di un giornale, inevitabile interlocutore politico. La legge professionale, infatti, ha separato «le funzioni istituzionali da quelli della rappresentanza politica della categoria riservata (dall’art. 39) appunto al Congresso e al suo organo esecutivo, cioè l’Oua». Insomma, pare di capire, se un giornale si deve fare, questo è compito dell’Oua e non del Cnf.
Lite in famiglia? Sì, ma allargata. Perché anche l’Anf (Associazione Nazionale Forense) critica l’iniziativa affermando che «forte è il rischio di una formale autoreferenzialità del Cnf e, quel che è peggio, dell’Avvocatura italiana». L’Anf chiede addirittura al ministro Orlando di «fermare Il Dubbio». L’opposizione è fatta propria persino da Afn-Amb (Associazione Forense Nazionale in difesa dell’Avvocatura medio bassa), ultima nata perché costituita appena il 31 gennaio 2015, che si chiede quale sarà la linea editoriale, chi sceglierà i giornalisti, chi raccoglierà la pubblicità e soprattutto «quando è stato deciso? Chi l’ha deciso? A voi, qualcuno ha mai chiesto qualcosa?».
Insomma, gli avvocati italiani non vogliono essere rappresentati dal Cnf. Oppure ogni associazione professionale ambisce a questo ruolo di rappresentanza e, non potendolo avere in esclusiva, preferisce che non lo abbia nessuno. Eppure potrebbero accontentarsi: la presentazione che de Il Dubbio ha fatto il Cnf pare in linea con le posizioni consuete dell’Avvocatura. «Il Cnf vuole impegnarsi direttamente per mettere in discussione l’assunto della “etica della pena”, che permea anche il settore dell’informazione: il diritto è vissuto come un lusso e la punizione è considerata la massima espressione di moralità». Affermazione in verità un po’ apodittica, quasi che i Tribunali italiani fossero plotoni di esecuzione con la missione di sterminare… Ecco, sterminare chi? I nemici del popolo? I nemici dei magistrati? Gli amici degli avvocati? In effetti, in mancanza di un avversario ben identificato, l’abbandono del diritto e l’irrogazione di pene feroci appaiono alquanto ingiustificati. Tanto più in quanto anche i componenti del Cnf vivono in un Paese che ha quattro Regioni controllate dalla mafia e che presenta un tasso di corruzione tale da farci precipitare al penultimo posto (67) della graduatoria europea; e che, ciò nonostante, gode di un ordinamento giuridico assai più garantista di quello dei Paesi vicini: basti citare la disciplina della prescrizione e delle notificazioni nel processo penale.
Va bene lo stesso: come disse Osgood (Joe Brown) a Jerry (Jack Lemmon), che gli confessava di essere un uomo e non una donna (A qualcuno piace caldo, 1959), «Nessuno è perfetto»; e dunque un giornale che avrà il merito di stimolare dibattiti è molto meglio di nessun giornale. E, quanto ai concorrenti interni al variegato mondo degli avvocati, mi permetto un suggerimento: non è un buon metodo togliere la parola agli avversari; attrezzatevi e fatevi un giornale vostro.