il Fatto Quotidiano, 23 febbraio 2016
Non si può sapere dove sono finiti i Rolex dei sauditi
A modo suo – senz’altro originale – il governo è trasparente. Con una lettera di cinque righe, comunica che non è prevista la trasparenza sul caso dei Rolex. Quelli che l’Arabia Saudita ha donato ai delegati italiani in viaggio ufficiale a Ryad con Matteo Renzi. Nessuno può sapere cos’è accaduto dopo la rissa nel palazzo di re Salman, nessuno può verificare chi ha restituito gli orologi, nessuno può perlustrare la leggendaria stanza dei regali.
Il governo ha respinto l’istanza di accesso agli atti di Paolo Bocedi, presidente di Sos Italia Libera, associazione che riunisce le vittime di estorsione, usura e racket. Il consigliere di palazzo Chigi ha inoltrato il documento al limite dei trenta giorni indicati dal testo di legge 241/1990, citato dall’avvocato di Bocedi per ottenere gli incartamenti (se esistono) sui Rolex. Oltre a una dettagliata ricostruzione pubblicata a puntate sul Fatto Quotidiano e alla testimonianza dell’interprete Reda Hammad, a quasi due mesi dall’emergere della figuraccia internazionale (mai smentita dal governo), palazzo Chigi non ha chiarito la vicenda. E non ha intenzione di chiarire, né ora né mai.
Per percepire appieno la reticenza del governo va riportato il parere spedito a Bocedi, sollecitato dal segretario generale di Chigi e protocollato dalla Commissione per l’accesso agli atti, una struttura (ovvio) legata al governo. Il presidente di Sos Libera Italia, dunque, ha ricevuto due pagine e mezza – in perfetto burocratese con slanci da azzeccagaburgli – firmate da Ignazio Francesco Caramazza. Come premessa, la Commissione scrive che la domanda di Bocedi è inammissibile, non per il contenuto (è ancora presto per entrare nel merito), ma per gli allegati.
Con generosità, però, la medesima Commissione sviscera il quesito: la legge del 1990, le modifiche del 2005, la giurisprudenza maturata nel tempo consentono di rilasciare copia delle carte sui fatti di Ryad? Risposta sintetica: no. E perché? “In difetto di uno specifico interesse, il diritto di accesso non può essere riconosciuto a chiunque, essendo inammissibili le istanze non collegate alla sfera di interessi del soggetto promotore”. Ma l’Italia non era lo Stato che tutelava l’interesse del cittadino (cioè l’interesse pubblico)? In questo aspetto, discrezionale, la legge è sempre salvifica per chi rifiuta la trasparenza.
All’ultimo paragrafo, però, è svelato l’arcano con un concetto brumoso: “L’istanza presenta profili di inammissibilità, anche in ragione dell’inaccessibilità dei documenti non aventi forma di documento amministrativo”. I documenti non sono documenti, ma allora che sono?