Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  febbraio 23 Martedì calendario

La corsa a quattro per Confindustria, chi sta con chi

Mancando un governo forte, capace di innescare la ripresa e di farsi rispettare nelle sedi internazionali, il sogno di molti imprenditori italiani era che fosse forte almeno il prossimo presidente di Confindustria. E dunque che emergesse subito, se non un candidato unico,  almeno un concorrente più robusto degli altri, un profilo alto in grado di calamitare i consensi degli associati.
Se il futuro numero uno di Confindustria avrà queste capacità lo si capirà una volta eletto. La partenza però non è quella attesa. La gara che è appena iniziata vede impegnati ben quattro concorrenti e nessuno di loro, oggi, appare in grado di surclassare gli altri. Così nelle associazioni già si ragiona sui ticket che si renderanno necessari nella seconda fase. Tutto questo in una partita nella quale i giochi veri, più che sul rilancio dell’imprenditoria, si stanno facendo sui due asset controllati da viale dell’Astronomia: il Sole 24 Ore, che ancorché indebitato resta un centro di potere formidabile, e la Luiss. Passeranno la prima scrematura solo i candidati che in questa fase otterranno un sostegno pari almeno al 20% dei voti dell’assemblea degli imprenditori.
Dei quattro nomi che i tre saggi (il marchigiano Adolfo Guzzini, il piemontese Giorgio Marsiaj e il campano Luca Moschini), a partire da questa settimana, porteranno al vaglio del territorio e delle imprese, quello che sinora ha fatto più parlare di sé è Alberto Vacchi. Emiliano, profilo imprenditoriale alto, ha riscosso consensi come presidente di Unindustria Bologna. Punto di forza: è titolare di un’impresa vera, il gruppo Ima, che produce macchine per il confezionamento di alimentari e farmaceutici e fattura 1,1 miliardi. Chi lo critica evidenza il giudizio positivo che su di lui ha espresso la Fiom («è un uomo del dialogo») e la vicinanza a Romano Prodi. Non sembrano essere comunque peccati mortali, se è vero che su Vacchi convergono anche le simpatie di una parte di Federmeccanica, tanto che è già girata la voce (smentita dagli staff dei due) della possibile entrata di Fabio Storchi, il cui mandato in Federmeccanica scade il prossimo anno, nella squadra di Vacchi, come vicepresidente per le relazioni industriali. Ieri intanto Vacchi ha incassato l’appoggio della potente Assolombarda e il sostegno dei vertici di buona parte delle associazioni territoriali di Confindustria Emilia-Romagna. La sua è una candidatura di rottura rispetto all’asse che lega l’ex presidente Emma Marcegaglia e l’uscente Giorgio Squinzi.
Soldi veri al momento non ne punta nessuno, ma se vengono messi spalle al muro, a microfono spento, molti degli iscritti di Confindustria ti dicono che al ballottaggio contro Vacchi dovrebbe andare il salernitano Vincenzo Boccia, imprenditore tipografo. È il candidato della continuità, e anche per questo a Roma e al Sud ha molti sostenitori (tra i quali non c’è però il napoletano Antonio D’Amato, altro protagonista). Ha saputo cavarsela bene come vicepresidente di Confindustria con delega per il credito e ha l’appoggio dei Piccoli imprenditori e di parte dei Giovani, ma tra gli industriali le dimensioni contano e l’impresa di Boccia (40 milioni di fatturato nel 2014) è ritenuta da molti di loro poca cosa. Però dietro Boccia c’è Emma Marcegaglia, presidente dell’Eni, che sta cercando di ritagliarsi per la seconda volta di fila il ruolo di king-maker, tanto che le vengono attribuite mire sul Sole 24 Ore, e c’è quella parte di Confindustria romana che si riconosce tuttora in Luigi Abete. Molto dipenderà dai voti che Boccia riuscirà a conquistare al nord.
Il vero candidato della capitale, al momento, è però Aurelio Regina, grande professionista delle relazioni, ex presidente degli industriali di Roma e del Lazio e attuale presidente di quell’eccellenza del made in Italy che è il Sigaro toscano. Abilissimo nel gioco di sponda, ha il problema di convincere l’imprenditoria del Nord. Con ogni probabilità sarà determinante nella fase successiva, quella delle alleanze. Dove nulla è scontato: dentro Confindustria trovi sia chi ritiene nell’ordine delle cose l’intesa tra Regina e Vacchi, sia chi assicura che, qualunque cosa voglia Regina, lui è «matematicamente destinato ad allearsi con Boccia, perché c’è una delibera degli industriali di Roma e Lazio voluta da Maurizio Stirpe e Luigi Abete dove si stabilisce che, se Regina non arriva al ballottaggio, gli industriali della regione si schierano con Boccia». L’asse Abete-Marcegaglia al lavoro, insomma.
Il quarto del gruppo è Marco Bonometti, bresciano, presidente delle Officine meccaniche rezzatesi (settore automotive) e dell’Associazione industriale bresciana, ex nuotatore di successo, come narrano le biografie diffuse dai suoi uffici. Si presenta come candidato nemico dei giochi della politica e degli accordi «contro natura» con il sindacato, ma il sospetto che su di lui puntino Marcegaglia e alleati per farne il candidato di disturbo che spacca il nord gira. E anche questo può avere avuto il suo peso ieri, nella decisione di Assolombarda (che rappresenta Milano, Monza e Brianza) di schierarsi per il bolognese Vacchi. Bonometti è il candidato di D’Amato, il quale però, se al ballottaggio dovessero andare Vacchi e Boccia, ha già fatto sapere che si schiererà col primo.