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 2016  febbraio 23 Martedì calendario

Alto Adige, l’unica parte d’Italia dove nascono ancora tanti bambini

La culla d’Italia è una babele di lingue, altro che il ladino. Qui si vive bene e si fanno figli. Li fanno tutti: i contadini ultracattolici della Val Pusteria e i marocchini che sgobbano nelle cucine dei ristoranti; i melicoltori venostani e i nuovi cittadini venuti dal Pakistan e dall’Albania per rimpolpare le fila delle imprese di pulizie. Se nel resto del Paese si muore sempre di piè e si nasce sempre di meno, in Trentino- Alto Adige la popolazione cresce. Il numerino magico è 2,3 per mille (da confrontare – dati Istat – con il – 1,8 del Nord e addirittura il -3,1 del Mezzogiorno).
A Bolzano c’è un negozio che in quarant’anni non ha sentito nemmeno mezz’ora di crisi. Si chiama “La culla”. «Un giorno entra Gustav Thoeni – ricordano i Vinante, al servizio dei bimbi altoatesini dal 1974 – Non eravamo sicuri fosse lui, ma ci passò ogni dubbio quando, al momento di pagare, tirò fuori una banconota da 100 mila lire, che allora non era facile vedere». Erano gli anni 70 e, nel capoluogo dell’Alto Adige e nelle valli – la Val Pusteria, la Val Venosta, la Valle Isarco – l’8,9 per cento di popolazione straniera (dato del 2015, quello del 2016 sarà in crescita di almeno due punti) non se la sognavano neanche dopo una sbornia di liquore all’uovo. Figurarsi che cosa sarebbero apparsi all’epoca i duemila e passa parti di immigrate, moltissime delle quali non comunitarie, (su un totale di 5mila l’anno).
Oggi il Trentino-Alto Adige, grazie anche ai nuovi innesti etnici, si appunta una medaglia: 1,73 figli per donna. Il tasso di fecondità nazionale è 1,39 figli. A queste latitudini si fanno figli come in nessuna altra parte d’Italia (nel 2015 a livello nazionale i fiocchi azzurri e rosa sono scesi sotto quota 500mila, secondo l’Istat record negativo dall’Unità). Meglio: si continuano a fare. Che poi i nuovi nati siano bimbi autoctoni o figli di immigrati – il fattore stranieri risulta determinante – poco importa, visto che in un Paese democratico le “statistiche felici” – ragiona Riccardo Dello Sbarba, consigliere provinciale dei Verdi – «non devono guardare nè alla lingua nè al colore della pelle».
La questione è un’altra. A Bolzano, e in generale in tutta la Regione, la vita è bella e anche lunga (85 anni per le donne). E nel 2015 la città si è aggiudicata per la quinta volta in 26 anni il titolo (indagine Sole24Ore) di capoluogo con la migliore qualità della vita. Dentro la medaglia c’è tutto l’occorrente: tasso di occupazione di 20 punti sopra la media; consumi alle stelle (2.660 euro per famiglia), crediti in sofferenza al lumicino, ossia meno di un terzo rispetto al valore medio. «La famiglia nella nostra tradizione resta la base della società – dice Walttraud Deeg, assessora provinciale alla famiglia – Ecco perché continuiamo a proporre politiche di sostegno e di incentivo per i nuclei, sia quelli nuovi sia quelli già formati. La risposta arriva...». Bonus bebè, sgravi fiscali, congedi per maternità che nel pubblico possono arrivare fino alla bellezza di 35 mesi, permessi per paternità sul modello “svedese”. Insomma: un welfare a doppia trazione, come accade nei paesi scandinavi. Al quale vanno aggiunti due fattori complementari: la tradizionale alta natalità nelle zone rurali (soprattutto le valli, a orientamento ipercattolico). E la spinta forte data al balzo demografico dalla popolazione straniera. Nella provincia di Bolzano gli immigrati sono l’8,9 per cento (la media nazionale è 8; parliamo dei soli residenti con permesso di soggiorno). Qui alle donne immigrate incinte e partorienti il servizio sanitario offre prestazioni gratuite che nei loro paesi d’origine non avrebbero mai. Spiega Sergio Messini, primario di Ginecologia e Ostetricia all’Ospedale centrale: «Sono bene informate, e fanno figli. Al loro posto lo farei anch’io...». Contiamo i parti al Centrale nel 2015: 1647. Di questi, oltre un terzo sono neonati stranieri, il 14 per cento in piè rispetto a dieci anni fa. «Se scorporiamo – aggiunge Messini –, si vede che la natalità degli italiani è diminuita anche da noi: del 10 per cento. Ma quella globale resta alta, perché, appunto, sono aumentati del 14 per cento gli stranieri. Sono persone per le quali ci prodighiamo ogni giorno com’è giusto che sia, ma mi chiedo anche quanto potrà reggere un sistema in cui un terzo della spesa sanitaria va a beneficio di chi non ha mai partecipato al finanziamento del welfare». Il vagito della culla altoatesina è un minestrone linguistico: Marocco, Albania, Pakistan, Iraq, Tunisia (in ordine di percentuale demografica). Vent’anni e gli stranieri nella provincia di Bolzano sono sestuplicati: quelli iscritti all’anagrafe oggi sono 46.045. Lavorano soprattutto nei settori del food e delle pulizie. Figliano, certo. Ma molto da fare si danno anche gli indigeni. Per dire: il presidente della Provincia di Bolzano, Arno Kompatscher, imprenditore, sta aspettando il settimo figlio. «Avrai una squadra di calcio», è la battuta che lo insegue da mesi a palazzo. «Siamo sudtirolesi! Così dovrebbero far tutti», risponde lui, sorridendo.