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 2016  febbraio 23 Martedì calendario

I colossi della tecnologia sono convinti che il futuro sarà della realtà virtuale e fanno di tutto per mandarci lì

La realtà è decisamente fuori moda. Per l’ennesima volta si punta ad affiancarla, arricchirla, sostituirla. Poco importa se si stia usando un pc, una console, un telefono, un tablet. Samsung, Lg, Sony, Htc, Facebook, Google, sono tutti della partita. Al Mobile World Congress, la grande fiera di Barcellona dedicata agli smartphone, tutti parlano della realtà virtuale e dei visori che servono per entrarci. Anche in vista dell’enorme potenza delle reti 5G, che saranno attive a partire dal 2020. Ma la vera sfida è ripartita quando Mark Zuckerberg, capo di Facebook ha calcato il palco della Samsung presentando tanto il loro visore legato ai nuovi smartphone di punta, quanto il “suo” Oculus che il 28 marzo esce a 699 euro. Nato da una piccola start-up, dopo il successo su Kickstarter, Zuckerberg l’ha acquistato nel 2014 per due miliardi di dollari e ha cominciato a sviluppare il suo progetto in collaborazione con la multinazionale coreana. È una forma di “teletrasporto”, come la chiama lui stesso immaginando infinite possibilità di utilizzo, dall’educazione al turismo, perché permette di viaggiare restando fermi. «La realtà virtuale sarà in futuro la più grande piattaforma social al mondo», ha aggiunto. Con loro si sta muovendo un esercito di software house, testate giornalistiche, major cinematografiche, case indipendenti e start-up. Ma tra gli addetti ai lavori i dubbi sono tanti, soprattutto per i costi. Quelli dei visori, certo, e quelli di chi sviluppa applicazioni e videogame. Anche Chat Faliszek era scettico. È un gigante di un metro e novanta con due Bafta vinti alle spalle, gli Oscar inglesi. Si è convertito nel 2013 a questa forma di intrattenimento, e ora la presenta con lo sguardo che brilla: «Pensavo si trattasse di mettersi un televisore davanti agli occhi – racconta – ma non è così. Io costruisco mondi digitali e adesso posso entrarci dentro. Due giorni fa stavo combattendo con spada e scudo in un campo di grano. Ed ero lì». Autore di videogame, lavora alla Valve, software house che assieme alla Htc, ha costruito il Vive, il visore più avanzato che esce ad aprile a 799 euro. Negli altri, da Oculus a PlayStation Vr della Sony che dovrebbe arrivare entro quest’anno, si spazia con lo sguardo in ogni direzione ma il proprio alter ego si muove con un joypad. Vive, grazie a dei sensori, fa il contrario: percepisce i nostri movimenti permettendo di camminare fra sequenze e pixel. Come abbiamo fatto noi, percorrendo il relitto di un sottomarino con le balene che passavano a pochi metri di distanza. Esperienza notevole ma molto poco sociale. I computer per gestire questi apparecchi costano una fortuna. E non va meglio con quei modelli, dalle caratteristiche tecniche minori, che usano smartphone di fascia alta – dall’S7 di Samsung al G5 di Lg – con prezzi a partire da 699 euro. Difficile capire se davvero faranno breccia. Così come è difficile capire la sorte di Project Tango di Google, nuova forma di realtà aumentata dopo il flop dei Google Glass. Vedrà la luce in estate grazie ad uno smartphone della Lenovo che colloca nel mondo oggetti virtuali percependo con esattezza lo spazio che ha davanti. Ma niente paura, ci sono i video a 360 gradi e si possono fruire anche senza visore, usando il mouse per orientare la visuale. Su YouTube si fanno sempre più numerosi, mentre su Facebook più di un milione di persone li guardano ogni giorno. Di telecamere pensate per questo tipo di riprese al Mobile World Congress ne hanno presentate tante. Ci sono anche esperimenti interessanti anche sul piano dei contenuti, come il diario sulla crisi dei rifugiati in Grecia firmato da Susan Saradon trasmesso a puntate in questi giorni su YouTube. E poi ci sono le applicazioni professionali basate su reti mobili di prossima generazione, il 5G, che venti operatori nel mondo stanno già mettendo alla prova in attesa del lancio nel 2020. Fra le dieci e le cento volte più veloce rispetto allo standard che usiamo, ha un tempo di risposta infinitamente più basso. Significa poter guidare un drone in Svezia da una postazione a Barcellona. O condurre un’operazione chirurgica indossando uno di quei visori dei quali si parlava prima. O fare di peggio, se si è malintenzionati e con conoscenze tecniche sufficienti. «Questo apre un fronte importante sulla sicurezza delle reti e sulla gestione della privacy», commenta Aniruddho Basu, a capo della divisione Network Security della Ericsson che sulle reti di prossima generazione punta tutto. «Il 5G ha la peculiarità di restare stabile ancorando il segnale dell’utente e seguendolo ovunque. E vale anche per l’universo dell’Internet delle cose, con i suoi ventotto miliardi di oggetti che in quattro anni saranno messi online». Ma Basu immagina che certi nodi verranno risolti entro il 2020. O almeno se lo augura.