Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  febbraio 23 Martedì calendario

Quando cala la nebbia su una guerra che già combattiamo (dalla Sicilia)

L’Isis è deciso a trasformare la Libia nel faro jihadista in Africa. Gli occidentali si affidano a missioni mirate ma «guardano» all’intero continente. Aspetti di una sfida regionale complicata. Roma ha appena autorizzato gli Usa a usare Sigonella come base di partenza per le missioni di bombardamento dei droni. Fino a pochi mesi fa i velivoli potevano condurre esclusivamente missioni di intelligence. Un via libera concordato in gennaio – ha rivelato il Wall Street Journal – dopo un negoziato «segreto». La Difesa ha però posto 3 condizioni: i velivoli possono agire solo in appoggio a unità d’élite nel caso siano in pericolo, ogni incursione sarà autorizzata volta per volta, la disposizione si applica a qualsiasi area dove sia presente l’Isis. Differenze sottili, visto che le Special Forces hanno compiti quasi sempre d’attacco. E se il Pentagono volesse ripetere il blitz di Sabratha partendo dal nostro Paese la risposta sarebbe no. Posizione assunta – è la spiegazione del Wsj – per evitare polemiche politiche. Equilibrismi mentre il nemico corre come un fuso. 
Le analisi sono infatti concordanti: lo Stato Islamico sta consolidando l’avamposto libico. I tremila militanti iniziali sono diventati quasi 6 mila, se non 10 mila, come sostengono fonti francesi. Sfruttando le debolezze e le divisioni delle fazioni i jihadisti hanno preso il controllo di quasi 200 chilometri di costa, creando il pilone di Sirte, capitale della «provincia». 
Regione dove hanno stretto patti con forze locali, offerto protezioni a trafficanti, costruito una base importante. Come in Iraq, hanno poi dato vita al sistema: impongono e raccolgono tasse, controllano le attività commerciali, provano a gestire la vita quotidiana. L’ordine è fatto rispettare con complicità e ferocia. Persone crocifisse, apostati lapidati (avvenuto ieri), esecuzioni di cristiani, ostaggi. La strategia è la solita, si sviluppa lungo passi conseguenziali. Controllo militare, propaganda e ideologia, regole di governo, consolidamento, espansione. È evidente che per sostenere questo sforzo è necessario disporre di un maggior numero di mujaheddin. 
Il Califfo ha pescato a cerchi concentrici. Una componente solida ed esperta è composta dai tunisini, arrivati a centinaia. L’attacco americano contro il covo di Sabratha ha mostrato la rilevanza dei guerriglieri originari della Tunisia, estremisti trasformati in una lama a doppio taglio. Da un lato incide localmente, dall’altro fende all’estero. I legami con le stragi del Bardo e Sousse, il vincolo con la rivolta siriana ne sono la prova più evidente. Al Baghdadi ha poi spostato una mezza dozzina di «ufficiali» da Siria-Iraq, ha mandato un suo proconsole. Alcuni dei luogotenenti sono stati uccisi, ma li hanno rimpiazzati. 
A questa fase ne è seguita un’altra con l’obiettivo di attirare combattenti africani. Il New York Times ha confermato indiscrezioni apparse negli ultimi mesi sui movimenti. Nelle file dell’Isis libico sono entrati dei senegalesi e cittadini dell’area Sub Sahariana, sono emersi contatti con gli assassini nigeriani di Boko Haram. Per raggiungere le coste gli adepti hanno seguito percorsi tortuosi, altri avrebbero utilizzato la rotta marittima. In qualche occasione hanno viaggiato attraverso il Sudan: Khartum ha annunciato l’arresto di un belga e di un indiano diretti a Sirte. Episodi minori, ma significativi. 
Davanti allo sventolare di tanti vessilli neri, i partner Nato non sono rimasti a guardare. Gli Usa hanno catturato un paio di pesci grossi, hanno condotto bombardamenti. Parigi avrebbe fatto lo stesso a Sirte. Poi la consueta nebbia di guerra. Il freelance Babak Taghvaee ha segnalato la presenza di Special Operation Team statunitensi a Misurata, Labraq (est), Woutiya (ovest) mentre i francesi sono stati «visti» in Cirenaica. Le forze speciali Usa avrebbero illuminato da terra gli edifici di Sabratha distrutti dagli F15 decollati dalla Gran Bretagna. Militari trasportati dagli aerei che utilizzano Sigonella, Pantelleria, Catania, il trampolino di una guerra che comunque già combattiamo. Ci siamo dentro e non è che i distinguo riducano i rischi. Prudenze condivise anche da Paesi nordafricani minacciati dall’interno dal terrorismo. Il Pentagono è alla ricerca di una base più vicina alla Libia, ma nessun governo ha dato la sua disponibilità limitandosi a concedere lo spazio aereo per le ricognizioni. Sembra che l’Isis riguardi sempre gli altri.