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 2016  febbraio 23 Martedì calendario

Castrogiovanni, il rugbista che non può bere la birra

Martin Castrogiovanni non è un rugbista qualsiasi. Merito di barba e capelli, del talento, della sua simpatia (memorabili gli spot), della capacità di lanciarsi in ogni attività per la quale valga la pena impegnarsi. Per tutto questo «Castro» è diventato un personaggio amato. Ora ha deciso di raccontarsi in un libro, «Raggiungi la tua meta», che non è la solita rassegna di partite, di vittorie e sconfitte. Ma il racconto della sua vita, guai e problemi compresi. Ci sono le partite, certo, ma c’è anche il suo amore per i bambini e c’è, soprattutto, la celiachia. E qua la storia di Castro, il rugbista che non poteva bere la birra, diventa un messaggio: se scoprite di essere celiaci non preoccupatevi, si può mangiare e vivere benissimo. Ed essere anche un pilone nella Nazionale di rugby.
do.c.

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Ora vorrei spiegarvi in che cosa consiste il mio mestiere in campo. Con una premessa fondamentale: pilone non si diventa, si nasce. Nella formazione del rugby a quindici ci sono due piloni, sinistro e destro, rispettivamente col numero di maglia 1 e 3. Io sono il pilone destro. I miei compiti? Factotum. Faccio il lavoro sporco, e qualcuno, si sa, deve pur farlo. Mi fiondo di corsa con l’ovale tra le mani per cercare di sfondare la diga avversaria sfruttando la mia mole, anzi la «molona» che mi porto dietro; cerco di guadagnare la palla nelle ruck – «ammucchiata», «ammasso» (...) – e nelle maul – stessa cosa, ma il pallone è nelle mani di un giocatore in piedi —; poi intervengo nelle rimesse laterali (...). Il termine tecnico è touche. (...) Il pallone viene lanciato tra i due schieramenti da un giocatore della squadra cui spetta la rimessa, e a quel punto il mio compito è sollevare un compagno (...), per consentirgli di afferrare l’ovale in volo. In altre parole, faccio da ascensore umano (...).
Ma il pilone è soprattutto, lo dice la parola stessa, l’elemento fondamentale su cui poggia l’edificio della cosiddetta «mischia ordinata» (...). La gestione di una mischia è pura scienza. Questa fase è di per sé una disciplina sportiva autonoma. Uno sport nello sport. Potete anche reclutare i quindici migliori piloni del pianeta e metterli insieme, ma se la mischia non lavora in maniera coordinata non si va da nessuna parte. In pratica succede questo: il giocatore chiamato «tallonatore» si piazza tra i due piloni, i quali si avvinghiano a lui passandogli un braccio dietro la schiena; questo, a sua volta, si «allaccia» ai due piloni a destra e a sinistra, incastrato ben bene ma libero di muovere le gambe nell’operazione, per l’appunto, di tallonaggio, quando cioè cerca di arpionare con un piede il pallone introdotto da un giocatore (il numero 9) nel pacchetto di mischia e conquistarne il possesso per poi dirottarlo verso i compagni esterni.
Questo speciale terzetto così schierato costituisce la «prima linea». La nostra spinta è fondamentale (...). La legatura fra i componenti della mischia è indispensabile per garantire stabilità e trasmissione del peso. Otto individui da una parte e otto dall’altra. Due poderosi muri di ossa e muscoli che si sfidano a chi spinge di più. Corpi che in una manciata di secondi sprigionano un’energia spaventosa: è stato calcolato che sul fronte d’impatto delle prime linee si scarichi una pressione equivalente a duemila chilogrammi!
Quando le due mischie si sono organizzate ci si prepara all’«ingaggio», il momento più stressante per la salute del collo mio e del secondo pilone, che assorbono quasi un quintale di carne avversaria. Funziona così: con le due formazioni schierate, l’arbitro dà tre ordini, ovvero: «Bassi», «Legati», «Ingaggio!» (...) Le prime linee si flettono, poi ciascun pilone si aggancia col braccio esterno alle maglie dei piloni della squadra avversaria. Dopodiché i due minieserciti entrano in contatto. Bam!
Si potrebbe pensare che il pilone sia un po’ stupido a infilare la testa là in mezzo. Soprattutto quello destro, che è per l’appunto il mio ruolo. Io ficco il cranio tra due energumeni, dove 800 chili spingono contro di me e altrettanti da dietro. (...) Chi gioca da pilone merita il paradiso. Perché l’inferno l’ha già vissuto in terra.