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 2016  febbraio 21 Domenica calendario

Quanto è caro il petrolio low cost

La conferenza di Parigi dello scorso dicembre si è chiusa con il fermo proposito di mobilitare tutti i maggiori inquinatori mondiali per limitare la crescita della temperatura globale a meno di 2 gradi centrigradi. Per arrivare a questo risultato, condiviso da rappresentanti di 196 nazioni, è necessario diminuire le emissioni di gas serra, primo fra tutti l’anidride carbonica prodotta dall’utilizzo di combustibili fossili. L’accordo di Parigi è ambizioso e prevede di arrivare ad una situazione di emissione zero entro la seconda metà del secolo. Emissione zero significa investire sulle energie alternative, sviluppare metodi per assorbire i gas serra prodotti dall’uso dei combustibili fossili, potenziare la sensibilità mondiale alla filosofia del riciclo. 
Si tratta di ottimi propositi, fino a qui basati sulla buona volontà dei sottoscrittori, che andranno ratificati con accordi vincolanti nel corso del 2016, quando si stabiliranno quote delle emissioni permesse e i contributi da pagare. È tutto l’enorme comparto legato alla produzione di energia a livello mondiale che va ripensato con un occhio alle emissioni e un altro ai costi. È proprio sul fronte dei costi che ci saranno i maggiori intoppi perché la caduta del prezzo del greggio rende tutto più difficile. Oltre a fare tremare il mercato azionario, il petroliolow cost ha ripercussioni, non sempre positive, su quasi tutti i settori dell’economia.
Il petrolio a basso prezzo ha effetto benefico sul mercato delle auto e fa tornare in positivo i bilanci delle compagnie aeree, due settori che sono tra i maggiori responsabili dell’emissione di gas serra a livello mondiale. Peccato che, mentre gli inquinatori gioiscono, l’industria verde, quella del riciclo e delle energia alternative, sia in sofferenza perché resa violentemente antieconomica proprio dal costo del petrolio. 
Abbiamo passato anni ad abituarci a dividere la spazzatura, convinti di fare uno sforzo in favore dell’ambiente. Limitare lo smaltimento in discarica è meritorio da molti punti di vista, primo fra tutti la scarsità delle discariche disponibili. Tuttavia, raccolta differenziata e riciclo dei materiali sono processi che hanno un costo, e, per attirare interesse industriale e capitali, devono essere redditizi. Raccogliere e riciclare la plastica, per esempio, era un’attività economicamente interessante fino allo scorso anno e le industrie coinvolte potevano contare su bilanci in attivo. Guadagnare mentre si svolge un compito “meritorio” per l’ambiente sembrava il mantra alla base delle scelte per un futuro sostenibile. Poi, il petrolio low cost ha fatto abbassare le quotazioni della plastica nuova, facendo crollare i prezzi di quella riciclata. 
Se il ricavato della vendita del materiale riciclato non arriva a coprire le spese che si fa? La scelta è tra smettere di fare la raccolta differenziata o aumentare le tasse sui rifiuti. Per fortuna, da noi i costi sempre alti dello smaltimento in discarica giocano a favore della raccolta differenziata. Ma, fino a quando? 
Ragionamento simile si applica alle energie alternative che non sono mai state veramente competitive rispetto al petrolio o al gas naturale. La vera spinta è sempre stata politica, sull’onda della preoccupazione generata dal cambiamento climatico. Per limitare i gas serra introdotti nell’atmosfera bisogna diminuire l’uso dei combustibili fossili sostenendo, con incentivi statali, le energie rinnovabili. Benché la tecnologia sia in continuo miglioramento, la discesa del prezzo del petrolio, unita alla diminuzione degli incentivi, non gioca a favore dell’industria verde. 
Eppure è solo spingendo sulle energie rinnovabili ed sul riciclo dei rifiuti che possiamo cercare di tenere fede alle promesse di abbattere i gas serra fatte a Parigi per combattere il riscaldamento globale. 
Per il bene del pianeta, non resta che sperare che il prezzo del petrolio risalga. Solo così il riciclo tornerà economicamente vantaggioso e le energie alternative riprenderanno quota.