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 2016  febbraio 21 Domenica calendario

Riscoprire il Terzo libro di Caproni

Il «Terzo libro» e altre cose è una raccolta di poesie di Giorgio Caproni che in pochi conoscono. Pubblicata nel 1968 a cavallo tra il precedente Il congedo del viaggiatore cerimonioso (1965) e il successivo Il muro della terra (1975), possiede qualcosa d’irregolare, di non ufficiale. Uscì non a caso da Einaudi una tantum, quando l’editore consolidato di Caproni già da tempo era, e sarebbe poi sempre rimasto, Garzanti. Ed è di conseguenza proprio Einaudi a riproporla adesso nella sua singolare eppure provvisoria unità.
Anche dal punto di vista strutturale e dell’organizzazione tematica risulta un libro anomalo, un libro «strano», come chiarisce Enrico Testa nella sua bella prefazione, il cui unico passaggio discutibile sta nell’aver posto senza possibilità di smentita che si tratti «del più grande poeta italiano del secondo Novecento». In realtà altri, forse addirittura i più, avrebbero potuto indicare Sereni, altri ancora Zanzotto, altri Luzi o Pasolini, altri un nome ancora diverso. Lo dico non a danno di Caproni, che è senza dubbio uno dei poeti importanti di tutto il secolo passato, quanto a vantaggio della qualità e della ricchezza complessiva del secondo Novecento italiano.
Di quale libro si tratta, allora? Come Caproni spiega nella sua Nota introduttiva, l’idea di scegliere testi dalle raccolte precedenti, in particolare dal Terzo libro del Passaggio d’Enea (1956), risponde alla necessità di attestare nel modo più netto la «direzione» (per altro, lo sottolineo, «rimasta determinante») della sua «ricerca» tra il 1944 e il 1954. Qualcosa come uno snodo o un groppo fondamentale; o ancora come un passaggio epocale trasformatosi in una condizione, non soltanto privata, forse inamovibile.

Leggendo queste poesie dopo le indicazioni del poeta, si ha l’impressione che Caproni abbia voluto configurare qui, una volta per sempre, niente di meno che la definizione della sua fisionomia esistenziale e poetica. Se questo è vero, Il «Terzo libro» e altre cose andrebbe allora interrogato come un autentico libro-oroscopo. Ascoltiamolo ancora, dunque, quando relativamente a quegli anni dice dell’«importance formale della scrittura» come tentativo, certo paradossale, di trovare «un qualsiasi tetto all’intima dissoluzione non tanto della mia privata persona, ma di tutto un mondo di miti sopravvissuti ma ormai svuotati e sbugiardati, e quindi di tutta una generazione di uomini» cresciuta nella «guerra» e nella «dittatura», lì dove, nonostante l’estrema possibilità di una «ribellione attiva» (Caproni era stato partigiano in Val Trebbia), aveva visto comunque morire, e morire per sempre, la propria «giovinezza».
La guerra, dunque, come tema dei temi di Caproni (lo sottolinea giustamente Luigi Surdich nel saggio posto in calce al volume). Ma di più: come figura psicologica, come indelebile marchio psichico, fisico e morale che, allargandosi a cerchi concentrici, si protrae senza vera distinzione anche nel cosiddetto dopo, nella vita rientrata nell’ordine e nell’ordinario dei giorni («l’infinito/ caos dei nomi ormai vacui e la guerra/ penetrata nell’ossa!...»). A differenza di Sereni, che porterà con sé nel dopoguerra la dimensione stessa della prigionia e del reticolato come esclusione dalla storia e dalla vita, Caproni riconosce retrospettivamente nella figura storico-esistenziale della guerra – e dunque dell’ostilità, del nemico, della distruzione, della violenza, dell’ingiustizia, della paura, delle tenebre, del nonsenso – il momento decisivo della sua formazione di uomo e, indistintamente, della sua definizione di poeta.
Come a concentrare e a rendere tanto più eloquente nel poco ciò che può valere, in sostanza, per tutto Caproni, Il «Terzo libro» e altre cose si presenta come un precipitato di temi e motivi, di direzioni conoscitive, nonché di peculiarità linguistiche e stilistiche riscontrabili, in avanti o all’indietro, lungo un arco temporale molto ampio. Ecco allora, accanto ma anche di contro alla guerra: l’amore, il desiderio (la «spinta»), le giovani donne («Le giovinette così nude e umane/ senza maglia sul fiume»), le figure della madre e del padre, l’attaccamento alle sue città, in particolare Livorno e Genova («La mia città dagli amori in salita/ Genova mia di mare tutta scale»), l’azione corrosiva della forza della negazione, la parola poetica come difesa ma anche come sanzione della perdita della realtà («oh versi! oh danno!»).
Lo stesso può dirsi dal punto di vista espressivo: per il ricorso alla metrica, ad esempio, o per l’alternanza di un lessico ora estremamente semplice e concreto, ora invece ricercato e un poco aulico (la rima creaturale cuore-amore, ad esempio, variante quasi identica della rima fiore-amore di Saba); ma, soprattutto, per la definizione di un discorso poetico straordinariamente analitico e appuntito, che procede attraverso continui strappi, precisazioni, fitte, eccezioni, interiezioni, riprese. Si tratta della stessa componente patetica riconosciuta a sua tempo a questa poesia da Pasolini. Se il perentorio, avvolgente giro della frase, se la sintassi tutta parallelismi e riprese costituisce l’onore della poesia di Sereni, il marchio di fabbrica e il massimo vanto di Caproni stanno appunto nella continua mobilitazione, nell’auto-auscultazione e nel conseguente aggiustamento in atto del discorso poetico. E bene ha fatto Testa, con un’intuizione importante, a ricondurne la radice non solo e anzi non tanto alla mente del poeta, quanto alla sua dimensione fisica e corporale, al «cuore», al quanto mai leopardiano «petto», alla «voce», alla resistenza del «respiro».
Se la poesia, come ha detto Paul Celan, altro non è che una «svolta del respiro», allora sarà difficile immaginare una poesia con più svolte e ferite, con più inciampi e riassetti, con più passi e contrappassi di questa di Caproni. Sarà difficile, cioè, immaginare un respiro in versi che interrompa più spesso e più violentemente il flusso della vita, ma che pure quel flusso riesca comunque a intercettarlo e mantenerlo in vita.
Così, si può pensare a questo libro come alla sezione trasversale del processo di formazione di Caproni alla vita e alla poesia: una lotta quotidiana e cosmogonica tra l’alba e il tramonto, la luce e il buio, l’emozione e l’intelletto, la permanenza e il congedo, la vita e la morte, con relativo scambio di parti ed esiti alterni, pur dentro a un cammino verso la cancellazione che appare già a questo punto segnato. Prese momentaneamente a prestito da raccolte diverse, le poesie sarebbero presto rientrate nella sede originaria. Il «Terzo libro» e altre cose, in pratica, non esisterà più. Ma intanto quella prima costellazione era stata scrutata, l’oroscopo era stato dato, con tutta la precisione di cui la poesia è talvolta capace.