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 2016  febbraio 21 Domenica calendario

Autobiografia di un maestro che segnava i libri, anche costosi, con la biro e poi se li mangiava. Umberto Eco si raccontava così

Non esistono autobiografie disinteressate, tutte mirando a dimostrar qualcosa. Così la mia, con la quale cerco di capire – oltre che di far scoprire – perché scriva Palinsesti su Beato, Abate. Nato ad Alessandria, città sorta nei primi del nostro millennio, per far dispetto al Sacro Romano Impero, vivente a Milano, gotica per arte oltre che per smog, docente a Bologna, dove i primi clerici vagantes istituirono la prima università quando a Oxford e alla Sorbona si pascolavano ancora i cinghiali, ho iniziato la mia carriera filosofica con un libro sul Medioevo. 
Comunque la metta, sono nato alla ricerca attraversando foreste simboliche abitate da unicorni e grifoni e comparando le strutture pinnacolari e quadrate delle cattedrali alle punte di malizia esegetica celata nelle tetragone formule delle Summulae, girovagando tra Vico degli Strami e navate cistercensi, affabilmente intrattenendomi con fastosi monaci cluniacensi tenuto d’occhio da un Aquinate grassoccio e raziocinante, ma tentato da Onorio Augustaduniense e dalle sue fantasiose geografie in cui a un tempo si spiegava quare impueritia coitus non contingat, come si arrivi all’Isola Perduta e come si catturi un basilisco muniti soltanto da uno specchietto da tasca e da incrollabile fede nel bestiario. 
Poi agli occhi degli estranei mi sono occupato di altre cose, problemi dell’arte contemporanea, comunicazione di massa, e ora l’antichissima disciplina della semiotica che gli stolti credono inventata pur ieri dai sicofanti della struttura, e invece fu costituita non meno di duemila anni fa. Ma anche se i segni di cui oggi mi occupo sembrano quelli meccanici delle comunicazioni elettroniche essi sono al contrario segni che parlano di altri segni legati per interminate catene a venerandi sistemi di simbolizzazione coi quali e per i quali l’uomo, attraverso i secoli, spesso ha perso il contatto con le cose, che – ammesso che esistano (idea che non mi dispiace) – sempre gli apparivano come già culturalizzate, e dunque tradotte in segni e in segni nominate.
Non sto dicendo che quello di cui mi occupo oggi sarebbe piaciuto a Beato, Abate di Liébana, poiché mi lusingo di procedere con il rigore che a lui mancava. Lui che dai segni, anziché dominarli, si faceva dominare, lui che credeva che Nomina sint numina, mentre io so che Numina sunt Nomina. Ma è che, rimastomi come hobby dal momento che l’ho abbandonato come mestiere, il medioevo mi è sopravvissuto come ossessione segreta e metodica cartina di tornasole.
Così da un lato, segrete vacanze sotto le navate di Autun, dove l’abate Grivot (millenovecentosettanta), scrive manuali sul Diavolo dalla rilegatura impregnata di zolfo), estasi campestri a Moissac, abbacinato dai Vegliardi dell’Apocalisse, o più dimessamente a Sant’Ambrogio, a sbirciare altari dorati – e contemporaneamente letture rigeneranti di Giovanni di Salisbury, conforti razionali chiesti a Occam per capire i misteri del segno, dove Saussure è ancora oscuro. 
Così, da un lato, in queste peregrinazioni, talora fisiche e talora Caserecce, Migne alla mano, l’ombra del Beato m’incuriosiva, come quella di un uomo di non molto sale che tuttavia, e senza volerlo, aveva influenzato il destino del pensiero apocalittico sino ai nostri giorni nonché l’imagérie di quell’arte romanica e gotica che sempre mi è apparsa come il primo esempio di civiltà della visione e pedagogia delle comunicazioni di massa… 
Il tuo invito a curare questo libro (l’intrelocutore è il raffinato editore Franco Maria Ricci, NdR) mi ha dato il coraggio di leggere l’elefantiaco commento di Beato – non da filologo (salvo l’indispensabile) bensì da contemporaneo (non ricordo bene se suo o mio) e le tavole che hai così ben riprodotto a colori mi hanno stimolato deliziosissime notti iconologiche, inseguendo nei repertori figurali imprendibili presudoprofeti in fuga e le ruote rutilanti di Ezechiele.
Grazie allora, e con medievale umiltà, al munifico detentore dei mezzi di produzione editoriale – che io ora qui eterno, in atto di committente, compunto ai piedi del tetramorfo…
Grazie per avermi introdotto da quinta colonna nel mondo filigranato della bibliofilia (io che i libri, anche costosi, li segno a biro e li mangio come il Veggente di Patmo, dolci o amari che siano): perché, come vedi dal mio testo, il viaggio tra VIII e X secolo mi ha consentito di capire meglio cose che accadono nel ventesimo e che accadranno nei prossimi.

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Il 10 aprile 2015 Umberto Eco rispose alle richieste della collaboratrice del Sole 24 Ore Dorella Cianci, studiosa del pensiero antico, che gli chiedeva di intervenire sui temi del diritto alla filosofia e all’insegnamento socratico per i bambini. Eco risponde con garbo e ironia, ripercorrendo i tratti della propria personalità e dispensando consigli utili per tutti.
 

Cara Cianci,
che cosa strana trovare una lettera senza francobollo! Credo che sia stata qui, nel centro di Milano, sotto casa mia, e deve avere imbucato questo foglio dopo avermi cercato – come so – attraverso la Bompiani, la Laterza e attraverso Riccardo Fedriga. Mi cerca forse da più di un anno per discutere con me sul Diritto alla filosofia. Le prometto un contributo per il volume qualora trovi l’editore. Mi spiace che non si sia realizzato il nostro incontro a Roma, ero lì con Beppe Laterza e l’ho anche aspettata. Avrei dovuto rispondere a una allieva che manca a un appuntamento? Accademicamente non si fa, ma accademicamente si annulla un appuntamento anche con un maestro se si è da un’altra parte per assolvere ai propri doveri universitari. Grazie per la sua attenzione a tutta la mia opera. Nei miei riguardi è quasi una bibliofila! 
Vede, dottoressa, son sfuggito per mesi a qualunque contatto con altri perché sono, come sa, un animale editoriale che cerca di non farsi divorare e di mantenere la dimensione privata e quella pubblica in armonia con l’ordine cosmico, per quanto possibile e per quanto è concesso a chi è stato scelto come simbolo della cultura italiana. Legga le mie parole sempre con una certa dose di autoironia, che è la vera forma di confessione ed espiazione che abbiamo. L’ironia è una forma di religione. Chi ride di sé si ama. Io non mi metto allo specchio ripetendomi il mantra di cosa sono diventato, pure nella consapevolezza che questo libro sarà tradotto in trenta diversi Paesi del mondo, pur con l’angoscia di non voler togliere tempo ai miei nipoti. Se dovessi farlo, sarei parte dell’uomo-massa. L’uomo-massa ed io? Non dico che uno sia meglio e l’altro no. Dico che io amavo altre cose, scappavo dall’amore, ma molte giovinette, come scrissi, mi concupivano. 
Oggi son grato all’amore che ho ricevuto, non a quello dato e forse non dato. Amo il libro visceralmente. Il libro è un parto, lo sa bene lei che studia la maieutica, e a volte, è un aborto, ma ci sono stati parti, nella mia vita, ben più emozionanti. Non so bene da dove partire, lei scrive una gran quantità di cose! Iniziamo da qui. Eristica e maieutica. Me ne sono occupato in Diario minimo, dicendo che, con queste targhette, spesso si vuol celare il vuoto delle idee e che Socrate, da buon pubblicitario quale era, si destreggiava con eleganza nel trasformare anche la propria condanna a morte in una parata pubblicitaria. Ero ironico e i miei pezzi giornalistici avevano la sfumatura di pastiches. Son legato ai miei contributi su «Il Verri» e su «Il Caffè», oltre che a quelli per la rivista «Pirelli». Lei propone un Socrate non santificato, rivisto, una maieutica più educativa che retorica e mi piacerebbe ragionarne di persona. Avevamo la metafisica di Mike e il suo sistema di citazioni. E che mi dice del metodo maieutico di Renzi? È maieutica quella? Non è come quella di Socrate dove si sfinisce l’interlocutore, ma alla fine non c’è né dialogo né ascolto? Non è un sistema di citazioni il suo entrare nel lessico italiano al pari di Mike? «Vi spiego tutto in un tweet»! 
Chi vive con un nucleo greco ben impresso, non può far altro che aguzzare l’autoermeneutica, mettere a frutto la proto-maieutica come la chiama lei, scrollarsi un po’ di questo vittimismo culturale, mantenere uno sguardo critico fra l’universo iperdigitalizzato e l’universo lettura-scrittura e guardare all’industria culturale con spirito propositivo, senza farsi macinare dalla produzione che vorrebbe uguagliare materassi e libri, senza farsi rimbambire dai festival. Mi chiedo: ma all’uscita le folle paganti e auto-appagate nella loro legittimazione culturale, davvero hanno compreso la lectio di un filosofo? E il filosofo davvero trova il tempo di meditare le sue parole o il calciatore vanta più preparazione di lui? Il calciatore fatica con la ginnastica! Questa qui, gentile Cianci, non è la mia partita. Non lo è più. Questa è la partita dei trent’enni, della vostra prima fase di anzianità. Basta a dire che siete giovani, la società deve mettere alla prova le responsabilità, le idee, deve scegliere una classe dirigente. Lei mi sta parlando di poesia come impegno civile. Bene, sono d’accordo. Quelli che la pensano come lei dovrebbero riunirsi intorno a una grande rivista di poesia esistente e far tuonare le idee, perché dalle idee piove, sulle idee si giocano le grandi partite culturali e io spero anche politiche di questa Europa. È giusto parlare di Italia, ma oggi siamo dinanzi all’Europa e se lei vede nel Mediterraneo le radici del grande racconto nazionale, trovi quelli come lei. Mi fa molto piacere vedere che scriva di Matvejevic: lui, con le sue idee, ha unito politica e cultura. Lui è un faro nei Balcani.
Si immagina un Socrate avulso dal contesto ateniese? Le lunghe file ai teatri, le gradinate piene, la pornografia di un certo tipo di sesso: era industria culturale! Erano ebeti come quelli che stanno su facebook? Non so, credo fossero ebeti più colti, oppure ebeti che si mettono il frak per andare alle riunioni dei Lions. Non so. Di certo, cara Cianci, son d’accordo con il suo ultimo libro e l’idea che i Greci hanno perfettamente inventato l’idea di sponsorizzare il corpo, di sponsorizzare il lamento e l’emozione, di metterlo alla berlina dei comici, di stabilire un canone, prima che architettonico, retorico. Di certo hanno inventato un sentimento erotico che passa dal corpo, che nel corpo trova il suo medium. Il medium a sua volta lo degenera con la pornografia o lo nobilita nell’arte o nell’incontro sessuale di due amanti. Esistevano anche allora gli uomini-massa! Lei lo sa, io lo so. Perché non si spiega così il mondo greco? Quando è diventato un mondo cristallizzato da chierichetti? Godiamo dal dopoguerra nel sentirci uomini da Libro Cuore, mentre sotto vorremmo essere Franti, come motivo metafisico nella sociologia fasulla di Cuore, così scrivevo. 
Veniamo alla Domenica del Sole. Mi chiede un contributo personale sulla filosofia con i bambini e uno sul diritto alla filosofia. Accidenti quanto pretende! Mi hanno mandato i suoi contributi e mi impegnerò sulla filosofia con in bambini in quanto valorizzazione del pensiero dei bambini. In loro non c’è ancora un sistema filosofico da poter davvero realizzare e chi lo dice è un impostore. Concordo sulla “libertà creativa” di cui parla, concordo sul “flusso di idee” ben espresso dal carissimo Bodei nel contributo apparso sulla Domenica. Mi mandi la rivista «Amica Sofia», la vedrò volentieri se i protagonisti sono i bambini.
La Domenica è a casa in collezione da anni e anni. La «Filosofia minima» credo abbia il piglio delle bustine di Minerva e le facoltà di Scienze della Comunicazione dovrebbero studiare questo esperimento culturale della Domenica. Mi saluti Massarenti. Dobbiamo darci appuntamento al prossimo festival organizzato dagli amici di Radio Tre e forse le darò il pezzo per la Domenica del Sole, da dove ritagliavo Pontiggia. Posso forse chiedere a lei. C’è qualcuno lì al Sole che potrebbe scrivere qualcosa di brillante su Aristotele e le nuove comunicazioni? 
Bene, due giocatori di scacchi non si incontrano mai in maniera casuale, ma spesso dobbiamo dare prova di esser vivi. Si dice un grande film. Indovini qual è. (Fragole e sangue, del 1970, Stuart Hagmann, NdR). Auguri per il Sole, ha una grande storia incardinata nella grande Milano.