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 2016  febbraio 21 Domenica calendario

Che aria tira a Trieste

La vecchia città asburgica, porto dell’impero, piccola Vienna senza reggia ma con il mare, si avvia alle elezioni comunali discutendo e dividendosi, come sempre. Qui non è condiviso il passato, drammatico, e il presente galleggia sulle antiche ferite della memoria a cui s’aggiungono sempre nuovi conflitti.
Vecchia signora in disarmo, abituata ai tempi morbidi dei suoi caffè, ora Trieste ha però ripreso a guardare in faccia il futuro, a tentare la riscossa. L’industria – Trieste è stata anche città operaia – ormai qui produce meno del 10 per cento della ricchezza cittadina. La Ferriera di Servola – 435 addetti – oggi è più un problema ambientale che un’impresa economica. Le Generali, imponente compagnia assicurativa di livello europeo, erede del grande passato triestino, da anni si sta progressivamente sganciando dalla città in cui è nata, diventando sempre più milanese. La disoccupazione pesa, la crisi si è sentita anche qui, tanto che, per esempio, la comunità serba, 12 mila persone che fornivano molta manodopera per l’edilizia, negli ultimi anni si è dimezzata.
Resta la splendida chiesa ortodossa di San Spiridione, accanto alle chiese, alle sinagoghe, ai circoli culturali, ai giornali, ai cimiteri che testimoniano l’antica presenza a Trieste di tante comunità, serbi, greci, croati, sloveni, austro-tedeschi, armeni… Il declino però ora si è fermato, giurano gli analisti. È ripreso il turismo, nella città piena di tracce di Joyce e di Rilke, di Svevo e di Saba, di Boris Pahor e di Samuel David Luzzatto. Sono aumentate le grandi navi da crociera che riversano stranieri sulle Rive. Il parco scientifico e tecnologico triestino incrocia università e aziende private, il sincrotrone Elettra, la Sissa (Scuola internazionale superiore di studi avanzati), il Centro internazionale di fisica teorica. Il porto di Trieste è per traffico merci il primo d’Italia e il decimo in Europa.
Resta una delle città con la popolazione più vecchia d’Italia. Ma ha accumulato una ricchezza antica, ha le pensioni mediamente più alte del Paese e un consistente livello di risparmi. Ora si aprono due nuove partite: lo sviluppo del porto nuovo; e la progettazione dell’area del porto vecchio. Due grandi affari che dovranno essere gestiti dal prossimo sindaco.
Progetti
Il grande affare del vecchio porto

Sono 600 mila metri quadrati di magazzini, hangar e impianti affacciati sul mare, un tempo adibiti ad attività portuale. Sono stati via via abbandonati a partire dagli anni Settanta. Ora sono inutilizzati e inutilizzabili, perché demaniali, cioè dello Stato. Dopo anni di tentativi falliti, il senatore Pd Francesco Russo è riuscito a far approvare la “sdemanializzazione” dell’area: vuol dire che quell’enorme porzione di città torna nella disponibilità del Comune di Trieste che dovrà decidere che cosa farne. Potrebbe essere il volano della rinascita di Trieste, l’occasione per ripartire. No, dicono i gruppi indipendentisti locali (tra cui il Movimento Trieste Libera) che protestano contro lo spostamento da quest’area dei privilegi del Porto Franco: “Si risolverà tutto”, dicono, “in un ridimensionamento di quegli antichi benefici, a vandaggio di altri porti italiani”. C’è anche il pericolo d’infiltrazioni mafiose, in una città già ad alto rischio: su questo ha alzato le antenne il nuovo procuratore della Repubblica, Carlo Mastelloni. L’amministrazione comunale ha già messo le mani avanti e ha coinvolto nei controlli l’Autorità nazionale anticorruzione di Raffaele Cantone, onnipresente parafulmine del malaffare italico. Il problema però ora è: che cosa fare in quell’area? È stato affidato alla Ernst&Young l’incarico di advisor per il “Piano strategico di valorizzazione del Porto vecchio”. Giovedì 18 febbraio il sindaco Roberto Cosolini è volato a Roma dove ha incontrato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti, braccio destro di Matteo Renzi. È tornato a casa con la promessa di 10 milioni per cominciare il risanamento dell’area compresa tra Molo Terzo e Quarto; e di altri 8 milioni per realizzare al Magazzino 26 un grande Museo del Mare. Ma la trasformazione del Porto Vecchio è il dopo-Expo di Trieste: ci vorranno anni, forse decenni, per sapere come andrà a finire.
Economia
L’oleodotto transalpino e le alleanze a est

Il porto nuovo resta il primo in Italia per movimento merci, anche grazie al petrolio che da qui parte verso il centro Europa con l’oleodotto transalpino. Oggi soffre della concorrenza dei vicini porti di Koper-Capodistria (Slovenia) e Rijeka-Fiume (Croazia). “Ma il futuro dovrebbe essere la collaborazione tra questi porti”, sostiene Claudio Boniciolli, ex presidente dell’Autorità portuale e gran conoscitore della storia di Trieste, dei suoi uomini e dei loro vizi e virtù. “Oggi sono prevalenti le gelosie e i localismi. Invece dovrebbero vincere le alleanze: perché non costituire società comuni per i servizi di retroporto? Trieste e Capodistria, e in parte anche Fiume, hanno un bacino comune, dovrebbero collaborare per arricchire i servizi logistici che permettono alle merci che arrivano dall’Adriatico di risalire l’Europa, verso nord e verso est”.
Ambiente
I cortei contro la ghisa e quei 170 milioni

Il signor Ettore Bellanti, triestino, è in guerra con il cavalier Giovanni Arvedi, di Cremona. Bellanti è il primo firmatario di un appello in cui un gruppo di cittadini chiedeva che cosa fare della polvere nera che raccolgono nelle loro case, proveniente dalla Ferriera di Servola. È stato querelato dal gruppo Arvedi, attuale proprietario del grande complesso industriale nato nel 1896 per produrre ghisa per l’impero Austro-Ungarico. Il 31 gennaio 5 mila triestini hanno manifestato contro l’inquinamento della Ferriera. La chiamano l’Ilva di Trieste, da anni è una ferita nel cuore della città. “Destra e sinistra ci promettono da anni di azzerare l’inquinamento: promesse tradite”, dicono i cittadini dell’Associazione NoSmog, che chiedono la chiusura della fabbrica. Qualcosa è stato fatto: si stanno spendendo oltre 170 milioni di euro per mettere in sicurezza gli impianti e ridurre le emissioni inquinanti. Resta il rumore, restano le nuvole nere che escono dagli impianti dell’area a caldo, che funziona a carbone. “I panni stesi ad asciugare li ritiriamo neri”, dice chi abita accanto alla Ferriera. Intanto, venerdì 19 febbraio, la Siderurgica Triestina, gruppo Arvedi, ha ottenuto la concessione per trent’anni della banchina di Servola: ormai più preziosa dell’impianto che produce ghisa e del laminatoio a freddo. È la piattaforma logistica che collega mare e terra, le navi che arrivano dalle acciaierie di Arvedi ai treni (700 nel 2015, raddoppieranno nel 2016) che portano la loro merce verso il nord.
Risparmio
La coop fallita e lo shock dei libretti

Patrizia Rosso è una psicologa del lavoro. “Mi sono impegnata nel Comitato tutela soci Coop per assistere tanta gente disperata che temeva di aver perso i risparmi di una vita. Molti erano anziani, tanti ci avevano messo pochi soldi, ma erano tutti i loro soldi”. La Coop operaia di Trieste aveva una lunga storia, 43 supermercati, 650 dipendenti, 126 milioni di fatturato, ma soprattutto 17 mila soci che avevano messo i loro soldi (in totale 103 milioni di euro) nei libretti di risparmio della cooperativa, che come tutte le coop fa da banca senza esserlo, raccoglie il denaro dei clienti-soci offrendo un tasso superiore a quello concesso dagli istituti di credito. Lo chiamano “prestito sociale”. La gestione dei vertici non è stata certo oculata, gli investimenti (tipo il centro commerciale Gran Duino) sono stati almeno avventati, visto che la Coop è precipitata nel crac. Nell’ottobre 2014 la Procura retta da Mastelloni chiede il fallimento e il Tribunale nomina l’avvocato Maurizio Consoli amministratore giudiziario. Subito bloccati ai soci i soldi dei libretti. Scene di rabbia e disperazione. Accuse feroci alla Regione, che deve vigilare sulle coop. La risposta è stata: “Noi abbiamo il compito di fare controlli sulla mutualità, non sulla contabilità”. Indovinate come l’hanno presa i 17 mila restati senza risparmi. Nei mesi seguenti, Consoli ha venduto 38 supermercati su 43 (a Coop Nordest, Conad, Despar…) e ora sta vendendo gli immobili. Ha così raccolto finora un centinaio di milioni con cui ha già saldato il 43 per cento dei debiti ai fornitori e il 60 per cento di quelli dei soci. “Alla fine, conto di restituire l’81 per cento del prestito sociale”. Poteva andare peggio. Ma lo shock ha scosso Trieste. Peserà anche sul voto?
Immigrazione
La rotta balcanica e la minaccia dell’Austria

In una città di vecchi benestanti, la paura è sempre in agguato e pesa sulle scelte di voto. Così su Trieste, città di frontiera, aleggia il “pericolo immigrati”. Diminuiti gli sbarchi in Sicilia, è cresciuta la “rotta balcanica” dei disperati in fuga da guerre e povertà. Una parte cerca di entrare a Trieste. Sono soprattutto afghani e pakistani. Ora sono solo 800, ospitati in attesa che sia esaminata la loro richiesta d’asilo politico. Sono stati al massimo 1.400. Le statistiche dicono che a Trieste i reati sono in calo, eppure l’allarme mediatico alimenta la paura.
Tra qualche settimana, la primavera porterà prevedibilmente un aumento degli arrivi di profughi che attraverso Slovenia e Croazia cercano di raggiungere l’Europa del nord. L’Austria ha già annunciato di voler porre un limite agli ingressi sul suo territorio e concederà asilo solo a 80 persone al giorno. La frontiera di Trieste diventerà dunque caldissima: e proprio quando la campagna elettorale sarà al suo culmine.