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 2016  febbraio 21 Domenica calendario

Se per la Turchia il problema della Sira è la Russia. Intervista a Çavusoglu, il ministro degli esteri di Ankara

L’ostacolo più grande alla soluzione della crisi siriana? Per il ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavusoglu non ci sono dubbi: è la Russia. Nell’illustrarci la prospettiva strategica del suo Paese, Çavusoglu ricorda alla comunità internazionale e all’Europa in particolare, che la Turchia è sì pronta a una maggiore cooperazione, ma anche stanca di prendere lezioni su come si controllano le frontiere. 
Ministro Çavusoglu, il sostegno offerto alla Turchia dalla Nato è sufficiente per far fronte all’emergenza rifugiati?
«Il flusso di profughi dalla Siria alla Turchia è uno dei principali sintomi del conflitto siriano, che ricordo, dura da cinque anni. Come tale, l’enorme sforzo che il mio paese ha speso per ospitare più di 2,5 milioni di rifugiati e di controllare l’immigrazione clandestina ha lo scopo di alleviare le sofferenze umane. Allo stesso modo, le decisioni della Nato per aumentare la difesa aerea della Turchia, così come il pacchetto recentemente approvato delle misure di garanzia per la Turchia, possono contenere soltanto alcuni dei sintomi della crisi in corso».
Dopo il sostegno economico ricevuto dall’Unione Europea, come state mettendo a punto le operazioni di controllo sui flussi di possibili foreign fighters e sul traffico illegale di migranti?
«La Turchia ha iniziato a contrastare la minaccia dei foreign fighters a partire dal 2011, molto prima che l’Unione Europea realizzasse la gravità della minaccia, e ha chiesto alla comunità internazionale di cooperare a tal riguardo, senza nessun sostegno economico di sorta. Le misure di sicurezza e di controllo delle frontiere della Turchia si concentrano in realtà su due aree principali per impedire l’ingresso in Turchia di foreign fighters dai paesi di origine, e ostacolarne il transito da e per la Siria e l’Iraq. I numeri parlano chiaro. Per arrivare a questi risultati abbiamo creato nuove “unità di analisi di rischio” negli aeroporti, nei principali terminal di autobus, e nella fase di screening dei passeggeri al confine siriano. Stiamo osservando che diversi paesi hanno cominciato a prendere misure analoghe dopo l’adozione della risoluzione Unsc 2178 a settembre 2014, e altri ci stanno lavorando. Se queste misure fossero state adottate prima, la minaccia dei foreign fighters non sarebbe diventata così grande. E poi vorrei ricordare che la guardia costiera turca ha avviato un “Sicurezza Med” nel Mar Mediterraneo e “Operazione Egeo speranza” nel Mar Egeo nel 2015 al fine di mantenere la sicurezza e la sicurezza in mare, con un costo di 5 milioni di euro al mese, tutti a carico del nostro Paese. Il risultato? 91.612 migranti salvati dal mare. Sa che significa? Sei volte di più rispetto al numero totale dei migranti soccorsi in mare nel 2014. A chi accusa la Turchia di non fare abbastanza per il traffico illegale di migranti ricordo che la nostra guardia costiera ne ha fermati già 190, con più di 200.000 migranti arrestati nel 2015. Gli sforzi sono enormi, ma se la comunità internazionale non mette in atto un piano globale per affrontare le cause alla radice, non saremo in grado di superare la crisi. Una soluzione per noi è il reinsediamento, ma molti paesi sono riluttanti ad accettare migranti. Ci vuole più generosità, solo se creiamo canali legali i flussi saranno più gestibili».
La Russia secondo lei è parte del problema o parte della soluzione?
«Nel settembre 2015, la Russia è intervenuta in Siria con il pretesto della “lotta contro Isis”, ma da allora non ha fatto che attaccare l’opposizione al regime siriano e la popolazione civile: oltre 7750 attacchi effettuati, l’89% dei quali contro l’opposizione e i civili. Non solo, ma i russi hanno usato i colloqui di Ginevra come una cortina di fumo per intensificare i loro attacchi aerei in Siria. Prendono di mira scuole, mercati, ospedali e altre aree popolate. Ecco perché il processo politico a Ginevra si è arrestato. Si potrebbe facilmente osservare che questi attacchi siano stati specificamente progettati per sabotare il processo. E poi sa qual è la cosa peggiore? Che gli attacchi russi contro obiettivi di Isis non hanno alcun impatto su Isis. Al contrario, quando l’opposizione era riuscita a respingere Isis da alcune aree nel Nord della Siria, i russi li hanno bombardati e si sono dovuti ritirare. Quindi le milizie Isis sono tornate e hanno ripreso il controllo dei territori. La Russia è chiaramente divenuta una parte del conflitto a fianco del regime e contro il popolo siriano. Dovrebbe invertire rapidamente direzione. Se vuole diventare parte della soluzione deve fermare i suoi attacchi, chiedere al regime di impegnarsi per il processo politico e avviare una transizione senza Assad. Tuttavia, abbiamo seri dubbi sull’impegno della Russia a un vero e proprio processo politico in Siria. Il susseguirsi di attacchi contro i civili mostrano le reali intenzioni della Russia, ma i nostri sforzi per una soluzione politica continueranno. La comunità internazionale deve esercitare tutta la pressione per ottenere le disposizioni umanitarie della risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza». 
Cosa risponde a chi vede nella creazione della cosiddetta “safe zone” (zona di sicurezza), creata per dare assistenza ai rifugiati, un modo per impedire ai curdi di creare uno Stato che si estenda lungo il confine a Sud della Turchia?
«A causa dei bombardamenti russi, decine di migliaia di persone hanno iniziato la loro marcia verso i nostri confini. Oltre ai milioni che già stiamo ospitando, ci sono migliaia di persone nella zona relativamente sicura tra Azaz e le nostre frontiere a Kilis, a dimostrazione che le zone di sicurezza sono parte di una strategia globale per risolvere il conflitto siriano. Adesso però è il momento di agire per una zona di sicurezza a Nord della Siria – lo stiamo chiedendo con insistenza. Quanto alle critiche di cui parla, l’organizzazione terroristica Pyd/Ypg non rappresenta i curdi in Siria, anzi ha un proprio “ordine del giorno” che va esattamente contro quanto è contenuto nella risoluzione 2254, e fissato a Ginevra e a Vienna. I terroristi di Pyd/ Ypg stanno cercando di sabotare l’intero processo, agendo unilateralmente da soli. Abbiamo inoltre le prove che l’orribile attacco ad Ankara del 17 febbraio è stato effettuato dal gruppo Pkk/Ypg, ce lo dicono le impronte digitali, i dispositivi e i materiali utilizzati. Solo nel mio ministero abbiamo perso la moglie di un collega, che ha lasciato il marito e un figlio. L’attentatore suicida è entrato in Turchia da Kobane prima dell’attacco, che non è stato diverso dagli attacchi suicidi che Isis ha fatto a Istanbul o a Parigi. La Turchia si aspetta solidarietà e sostegno di amici e alleati non solo a parole, ma nei fatti. La comunità internazionale deve evitare doppi standard». 
Daesh minaccia la stabilità dal Mar Rosso alle coste del Mediterraneo. In che modo la Turchia può partecipare alla soluzione della crisi libica?
«Prima di tutto, vorrei sottolineare che la Turchia ha una storia comune e forti legami di parentela con il popolo libico e attribuiamo grande importanza al ristabilimento della sicurezza e della stabilità in questo paese. Questo può essere meglio realizzato con un governo di Accordo Nazionale in atto. La comunità internazionale ha il dovere di sostenere la Libia contro Isis, come previsto dalla risoluzione 2259. Spero che il popolo libico metterà gli interessi nazionali sopra ogni altra considerazione per stabilire nuove istituzioni nel più breve tempo possibile».
Vede margini di cooperazione con l’Iran in questa fase, nei termini di un’intesa anti-Isis?
«Siamo pronti a collaborare con tutti i paesi che vogliono – e possono – nella lotta contro il terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni».