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 2016  febbraio 21 Domenica calendario

Storie di genitori vittime di bambini tiranni. La Francia ha deciso di sostenerli

Il bambino 5enne decide che si è stufato e bisogna movimentare la cena, quindi ruba il coltello al fratello maggiore, lo impugna e si appresta a lanciarlo guardando i genitori dritto negli occhi: «Nicolas, metti giù il coltello!», diranno loro con gradi variabili di timore. E Nicolas, con un brivido di piacere, lancerà il coltello. Ancora una volta, avrà occupato tutto lo spazio. Avrà deciso lui chi detta il gioco, quale atmosfera regna in casa, chi è il protagonista. Chi è il capo.
Anche in assenza di feriti uno dei due genitori forse lo sgriderà, se tradizionalista lo prenderà a sculaccioni e lo chiuderà nella stanza. L’altro potrà invece essere tentato dall’idea che «ormai è grande, non può non capire», e ancora una volta si metterà con calma a tenergli un seminario sui pericoli delle lame. Non serve. Non funzionano, né le grida né le spiegazioni. Dopo decine di lanci di coltelli, quei genitori saranno pronti per il gruppo di sostegno dell’ospedale Saint-Eloi di Montpellier.
Qui, da novembre, si curano non i «bambini tiranni» ma le loro vittime, i genitori. È un esperimento unico in Francia, interessante anche perché va un po’ contro lo spirito del tempo che predica il ritorno puro e semplice all’autorità genitoriale. Dopo gli anni Settanta di Benjamin Spock e François Dolto, che cercarono (giustamente) di far trattare i bambini come persone, oggi il clima culturale prevede che i genitori tornino a farsi rispettare, con le buone o con le cattive. «Chi non ci riesce è preoccupato per il figlio, poi si sente fallito come genitore e in più sente su di sé lo sguardo di condanna degli altri adulti», dice Florence Pupier, la psichiatra che assieme a due colleghe organizza gli incontri settimanali con una dozzina di genitori di figli tra i cinque e i 17 anni.
«Se i genitori calcano il loro comportamento su quello del figlio e accettano la logica della lotta di potere, si instaura un circolo vizioso che non porta a nulla. Pensiamo che in queste condizioni sia impossibile cambiare i bambini – spiega Pupier —. La nostra scommessa è invece cambiare i genitori. Dando loro più fiducia in se stessi, togliendoli da certi meccanismi che tendono a ripetersi in casa. Spiegando che il comportamento tirannico dei figli non dipende dalla loro mollezza o in generale dalla loro incapacità di genitori ma, in molti casi, da vere patologie psichiatriche dei bambini, che andranno affrontate. Da noi vengono genitori attenti, dediti, ma affranti. Non sono colpevoli, ma vittime. E noi cerchiamo di toglierli da quello stato in modo che riprendano in mano la situazione».
Il gruppo di Montpellier si basa sui lavori dello psicologo israeliano Haim Omer che ha sviluppato il principio di Non Violent Resistance, una resistenza non violenta mutuata dal campo politico e applicata alle dinamiche famigliari. L’idea di base è che per indurre il cambiamento negli altri non si può che cominciare da noi stessi, quando gli altri – i figli – dimostrano ampiamente di infischiarsene di punizioni e spiegazioni. «Se noi cambiamo, le scelte degli altri non possono restare le stesse», teorizza il professor Omer.
Alcuni comportamenti dei figli sono normali: «Tra i due e i quattro anni, e nell’adolescenza, ci sono fasi di opposizione naturali – dice la dottoressa Pupier —. La tirannia è un’altra cosa, è quando i genitori hanno paura del bambino e hanno perso il potere decisionale, è quando la gerarchia si è capovolta».
L’obiettivo degli incontri all’ospedale di Montpellier è raggiungere una nuova «autorità non violenta», diversa da un semplice ritorno agli schiaffoni del «quando ci vuole ci vuole». I genitori vengono convinti a chiedere aiuto ad amici e parenti, a non cadere nelle provocazioni e a rompere gli automatismi. Solo dopo potranno pensare ai bambini.