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 2016  febbraio 21 Domenica calendario

Marisa e Mario Merz, un’intima inimicizia in mostra

Ci sono famiglie di artisti che sono parenti tra loro, per mentalità, stile di vita e processo creativo. Simbiosi di comportamenti che confermano ineluttabili reciproche biografie. È il caso di Marisa e Mario Merz esposti al Macro di Roma in una mostra a cura di Costantino D’Orazio, Claudio Crescentini e Federica Pirani, fino al 12 giugno.L’esposizione propone il racconto di un dialogo e un confronto assistiti da una felice solitudine creativa con opere non assimilabili nel gorgo di uno dei due, ma forme stabili per differenza e affinità.Dal foglio di carta all’architettura, dalla pittura al disegno, dalla scultura all’installazione, Marisa e Mario si sono mossi attraverso una manualità progettuale, oscillazioni psicosomatiche quasi ignari dell’avanti e del dietro, dell’alto e del basso, dell’orizzontale e del verticale ma piuttosto come emanazione di un puro movimento aperto e circolare. Da qui per entrambi l’importanza del tavolo che definisce esteticamente nella sua forma a spirale la funzione dell’oggetto.La spirale dunque e la linea curva per i due Merz sono gli emblemi dinamici di un movimento che parte da un’asse virtuale per aprirsi all’infinito. Così il centro del guscio della lumaca è anche il centro del foglio da cui Mario traccia la sua spirale. Questo vale anche per Marisa, per le sue teste scolpite in cera e le forme della sua pittura liquida.Il movimento della mano sembra procurar loro uno stato meditativo che dà forza alle forme elaborate. Sotto i colpi di una dicotomia energia–espansione, nucleo primario riconosciuto e assecondato con ogni materiale possibile: neon, cera, vetri, metalli, carta stampata, vimini, frutta, ortaggi e scrittura. Fino all’apparire della cosa, igloo o violino: magico arcaico – futuro per i due. Dal microcosmo al macrocosmo. Ecco i tavoli a spirale imbanditi da Marisa per Mario, ecco i comodi appoggi elaborati da Mario per le sculture di Marisa. D’altronde tutti i tavoli di Mario nascono dalla memoria infantile del tornio del padre, inventore e ingegnere. Tutti i torni sono dei tavoli e tutti i tavoli diventano dei torni dove sperimentare la crescita dinamica delle cose attraverso la forma. Il sistema combinatorio presiede tutta la mostra, in una tessitura di confronti e scambi che nascondono in tutti i casi da una comune sensibilità. Le diverse forme si dipanano nello spazio, arrampicandosi anche alle pareti attraverso la spirale, luminosa e ferma nello stesso tempo, memore dell’installazione ai Fori Imperiali di Roma nel 2003.Forza morale ed impulso costruttivo armano la mano dei due artisti, l’ibridazio- ne dei materiali fomenta ancor più la libertà delle forme.Il riserbo creativo di Marisa esalta in qualche modo il vitalismo progettuale di Mario, asseconda il concetto dell’opera con un intervento che non è mai semplice arredo. Spesso Marisa ha disposto sui tavoli di Mario frutta e verdura, montagne di rape bianche e rosse, sedani e cachi. Così anche Mario ha voluto puntellare i suoi tavoli con le teste in curva di Marisa, silenziose cere delicate in forme di volti appena accennati. Disseminati nell’ampio spazio del museo, appaiono ulteriori confronti tra i numeri ispirati alla serie di Fibonacci e scarpine ricamate in metallo, un invito a un possibile gentile nomadismo.Le opere esposte confermano nell’intero percorso il doppio gioco sviluppato dalla coppia Merz nell’arte e nella vita. Impositivo e costruttivo il lavoro dell’uno e miniaturizzato con attenzione per i dettagli quello dell’altra, non semplici echi di un lavoro che si protrae nel tempo dalla fine degli anni Cinquanta. Ecco alle pareti opere pittoriche e disegni che affermano una soggettività aperta al confronto ed un’ansia identitaria senza isterie o rivendicazioni femministe.Una mostra androgina è questa di Roma, un’esposizione inedita intessuta anche di un profondo erotismo senza rumore o proclami in cui maschile e femminile fanno la loro parte nel rispetto dei ruoli, in ogni caso in una felice coesistenza delle differenze.Tutta la mostra ha al suo centro questo seme vitale, una fecondità espansiva e molteplice. Da qui la predilezione assoluta per la forma a spirale, come forma matematica e simbolica, e la linea curva a dimostrazione dell’eterno movimento delle cose. La spirale che allontanandosi per infinite ripetizioni da se stessa si ribadisce. Forma per eccellenza del mutamento e del tempo. Segno grafico e strutturale del movimento originale di ogni gesto umano.Non esistono inciampi per lo sguardo. Tutto scorre e nulla permane, sotto l’impeto silenzioso della mano di Marisa che riesce nel miracolo di una pittura liquida. Dalle pareti al pavimento, dalla verticalità iconografica di figure disegnate e accennate sui supporti della pittura, scorre l’immagine fino a calarsi al suolo e scoprire l’autenticità fresca e gentile di una piccola fontana.D’altronde Mario presenta tutta la sua evoluzione dalla stagione poverista, dallo spontaneismo anche politico di quei tempi, al rigore dei suoi progetti stampati al neon o altre materie. L’arte diventa la previsione di spesa, un vero e proprio bisogno antropologico di uno sforzo che corregga l’inerzia e il caos della vita.In definitiva questa mostra morganatica esprime, documenta e testimonia l’ineluttabilità di una relazione inossidabile ed anche il ribaltamento di un luogo comune, quello che riguardante l’intima inimicizia tra gli artisti. Probabilmente Marisa e Mario in maniera fertile e originale ci confermano un paradosso, essere stati tra loro i nemici più intimi e consegnato nello stesso tempo le prove di un grande armistizio, felicemente testimoniato dalle fotografie di Claudio Abate.