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 2016  febbraio 21 Domenica calendario

Chi ha paura del populismo? La lezione di Tocqueville

Nel 1831 l’aristocratico liberale francese Alexis Tocqueville si recò negli Stati Uniti per studiare l’“illuminato” sistema penitenziario di quel Paese. Da quel viaggio è nato La democrazia in America, il capolavoro di Tocqueville. Il francese guardava con ammirazione alle libertà civili americane, e alle istituzioni del Vecchio Continente preferiva la prima autentica democrazia liberale del mondo.Tuttavia, egli nutriva anche qualche seria riserva, e riteneva che i maggiori rischi per la democrazia Usa fossero rappresentati dalla tirannia della maggioranza. Tocqueville era convinto che qualsiasi forma illimitata di potere, che fosse esercitato da un singolo despota o da un’intera maggioranza politica, fosse destinato a sfociare nel disastro.Quindi, al pari di qualsiasi altra forma di governo, anche la democrazia, nel senso di governo della maggioranza, deve avere delle limitazioni. Questo è il motivo per cui i britannici hanno unito all’autorità dei politici eletti quello del privilegio aristocratico. E per cui gli americani hanno tanto a cuore la separazione dei poteri. Tocqueville identificò nel sistema statunitense anche un altro tipo di argine, rappresentato dal potere della religione. L’avidità umana, così come la tentazione di spingersi verso posizioni estreme, era temperata dall’influenza mitigante di una fede cristiana condivisa. Negli Usa la libertà era inestricabilmente legata alla fede religiosa.Lo spettacolo offerto oggi dalla politica americana sembrerebbe mettere in dubbio le osservazioni di Tocqueville. O piuttosto: la retorica di molti repubblicani che aspirano alla Casa Bianca assomiglia a una forma distorta di quanto egli ebbe modo di osservare nel 1831. I termini “religione” e “libertà” ancora ricorrono insieme nei discorsi dei politici, ma spesso solo per promuovere opinioni estreme. Nel nome di Dio si denunciano le minoranze religiose, si evocare paure apocalittiche e si promuove l’intolleranza.Gli Usa naturalmente non sono l’unico Paese in cui i demagoghi, che un tempo erano relegati alle frange più radicali, hanno iniziato ad avvelenare anche la politica convenzionale. Se nell’Europa occidentale capita raramente di sentire il linguaggio religioso, in alcune regioni dell’Europa orientale, in Turchia e in Israele ciò accade più di frequente. Il messaggio populista, tuttavia, è il medesimo in ogni regione del mondo democratico: tutti i nostri guai e tutti i nostri affanni – dalla crisi dei rifugiati alle ingiustizie dell’economia globale, dal “multiculturalismo” all’ascesa dell’Islam radicale – sono da attribuire alle élite liberal.Il populismo sta suscitando un grande allarme, non ultimo perché i politici tradizionali sembrano sempre meno capaci di trovare un modo convincente per arginarlo. Coloro che temono, a ragione, la politica della paura, amano credere che il populismo rappresenti una minaccia per la democrazia stessa. La diffidenza nei confronti delle élite promuove la diffidenza verso il sistema, e il desiderio di leader autorevoli che siano in grado di liberarci dall’egoismo dei politici di professione ci porterà a nuove forme di tirannia.Ciò potrebbe rivelarsi vero. Di fatto, però, oggi non è la democrazia ad essere sotto assedio. Per alcuni aspetti molte società sono più democratiche rispetto al passato. Il fenomeno Donald Trump dimostra ad esempio che qualsiasi outsider che goda di un certo seguito può aggirare le istituzioni dei vecchi partiti. Anche i social media permettono di aggirare i filtri tradizionali dell’autorità – come i giornali autorevoli – divulgando direttamente qualsiasi punto di vista. Oggi, inoltre, i cittadini hanno maggiori possibilità rispetto al passato di eleggere qualche farabutto avido di potere, perché simili personaggi non sono più arginati dalle tradizionali élite dei partiti.A venire gradualmente meno non è la democrazia, ma quelle limitazioni che Tocqueville riteneva fossero essenziali al funzionamento della politica liberale. Sempre più spesso i leader populisti credono che aver ricevuto il voto della maggioranza degli elettori autorizzi loro a schiacciare qualsiasi dissenso politico e culturale. Il peggior incubo di Tocqueville forse non si è ancora avverato negli Stati Uniti, ma assomiglia a ciò che già possiamo vedere in Russia, in Turchia, in Ungheria e forse anche in Polonia. E persino in Israele: un Paese che malgrado tutti i suoi numerosi, evidenti problemi, ha sempre avuto una solida democrazia e che tuttavia sembra avviato verso questa direzione – con i ministri del governo che esigono dimostrazioni di “lealtà” da parte di scrittori, artisti e giornalisti.È difficile immaginare in che modo le élite potrebbero riacquistare una certa autorità. Ritengo però che Tocqueville avesse ragione: senza direttori di giornale non può esserci un giornalismo serio. Senza dei partiti guidati da politici esperti i confini tra mondo dello spettacolo e politica scompariranno. E se gli appetiti e a pregiudizi della maggioranza non saranno arginati, l’intolleranza riuscirà ad affermarsi.Non si tratta di nostalgia o di snobismo. Il risentimento verso le élite non è sempre sbagliato. Globalizzazione, immigrazione e cosmopolitismo hanno favorito una minoranza estremamente preparata, ma lo hanno fatto, talvolta, a spese di persone meno privilegiate. Il problema che Tocqueville evidenziò attorno al 1830 oggi è più attuale che mai. La democrazia liberale non può essere ridotta a una gara di popolarità. Le limitazioni al potere della maggioranza sono necessarie per tutelare i diritti delle minoranze. E quando quella tutela verrà meno, tutti finiremo per perdere quelle libertà che la democrazia avrebbe dovuto difendere.